venerdì 20 dicembre 2013

Alcuni indizi per capire se ultimamente ti sei lasciata un po’ andare:

- Uno strano formicolio sulla pelle del corpo ti fa realizzare che non ricordi più quand’è stata l’ultima volta che hai fatto una doccia. 
- Tua figlia si gratta da due giorni e non ricordi più etc. Sì, insomma, il bagnetto. 
- Tuo marito ti fissa angosciato i polpacci pelosi; poi, come Kurz, inizia a rantolare: “l’orrore, l’orrore...”. 
- La tua estetista ti manda strani sms: “Torna, ti perdono”; “Spero che almeno tu abbia trovato un’altra”; “Sai che un inguine troppo peloso è l’habitat ideale per i mimimmi?”. 
- Al posto del fantasma del Natale passato, quest’anno si sono presentati i fantasmini dei calzini spaiati.
- La Supersuocera ha iniziato a soffrire di attacchi di panico e viene colta da improvvise crisi di pianto: ma solo quando è a casa tua.
- Le farfalline della farina che vivono nello scomparto della tua cucina hanno infine fatto ricorso alla campagna del figlio unico per scongiurare il rischio di sovrappopolamento. 
- Tuo marito oggi è andato a lavorare indossando le tue calze arancioni con i pon pon. 
- Quando apri il frigo, c’è solo un carciofo; e ti sta osservando
  O forse è l’avocado del mese scorso? 
  No, deve essere l’omogeneizzato di spigola e patate della neonata. 
  Non è che è la neonata? 
  No, dài. Non è la neonata. 
- Ai colloqui con i genitori, le maestre di tua figlia, anziché parlarti del suo rendimento, ti fanno sedere, ti chiedono come stai, se hai bisogno di aiuto, se ti serve qualcuno con cui parlare. Poi, timidamente, cercando di non ferirti, ti chiedono se è possibile togliere dalla cartella della bambina i torsoli di mela, i cucchiaini incrostati, la purea di banana, lo yogurt scaduto e qualche pannolino sporco. E l’avocado. 
- Tua figlia viene da te tutta contenta e ti mostra un mozzicone di matita perfettamente temperato: mamma, guarda, ho battuto il record! La mia matita è lunga un centimetro e mezzo, nessuno ce l’ha corta come la mia! Adesso però posso averne una nuova?
- La tua collega stronza, quella che a malapena ti saluta benché vi vediate ogni mattina, oggi, quando sei entrata in aula insegnanti, ti è venuta incontro: ti ha messo le mani sulle spalle, ti ha fatto fare un giro su te stessa e ti ha alzato la lampo del vestito. Poi è andata via. Senza salutarti. 
- Tua figlia ti chiede a bruciapelo: mamma, quand’è che la nonna mi può adottare? 
- La mattina, a scuola, i tuoi alunni ti salutano festosi: Buon giorno, prof! Che bel colbacco!  

domenica 15 dicembre 2013

Si sieda pure su questo bisòlo

- Solal! 
- Che c'è, Ariane? 
- Ho scritto un post originalissimo che si intitola "Sei siciliano se..."! 
- Ariane, il web è pieno di 'sta roba; da un decennio, almeno. 
- ... 
- Da qualche parte ci deve essere pure: "Sei di F***** se...". 
- No! 
- Sì. 
- E ora cosa faccio col mio? 
- Pubblicalo, tanto non se ne accorgerà nessuno. 
- ... 


Il mio contributo ai luoghi comuni sul web 

Pensi di essere siciliano ma non ne sei sicuro al cento per cento? Scoprilo con il pratico test per siciliani centro-orientali! 

Sei siciliano se: 
- Saluti un amico chiamandolo:‘mbare! 
- Incontri un'amica e le dici: commare! 
- Il tuo tipico approccio galante per strada è: “Ah bedda di unni pisci!” o, in alternativa: “Scusa, ti pozzo conoscere?”, ma anche: "Paparedda, ssei ssola?".
- Sai esattamente dove è ubicato Valguarnera Caropepe. 
- Per te Biella si trova da qualche parte nel nord, sopra l’Emilia Romagna. 
- Il Continente comincia all’altezza di Scilla. 
- A nord della Sicilia c’è la Calabria Saudita, abitata dai calabrolesi. 
- Non sai distinguere l’accento milanese da quello padovano. 
- Declini “Etna” al femminile. 
- Per te le femmine hanno lo sticchio e non la figa e i maschi hanno la minchia e non l’uccello.
- Sei laureato, ma sei ancora convinto che si possa dire sia “scatola” che “scatolo”. 
- Sei laureato, ma continui a uscire la spazzatura e a entrare la macchina nel garage.
- Pensi che “minchia” e “spacchio” siano delle congiunzioni. 
- Non credi che si possa sopravvivere senza conoscere il significato dei termini “scotolare” e “mappina”. 
- Quando qualcuno ti dice: 
t’ha mmoriri to’ mà, 
a fa ‘nto culu tu e cu non tu dici, 
figghiu i sucaminchia, 
puppo, 
va suchiti un prunu, 
ddu sticchiu i to matri, 
ti offendi assai. 
- Spesso vieni assalito dal dubbio: “si scrive pensare o penzare?”. 
- La domanda “Quanto vi sbagliate tu e tua sorella?” per te non è un modo retorico per sottolineare i loro errori.
- Quando finisce la processione, per sì e per no vai in chiesa a baciare i piedi alla santuzza.
- Hai postato su Facebook almeno una foto di te in spiaggia dopo il 21 settembre. 
- Sai cos’è la brioscia col tuppo. 



- Almeno una volta hai pensato: ora vado al nord e apro un chiosco di granite. 
- Non vai in vacanza in Sardegna. 
- Tra il personale medico e paramedico di qualunque ospedale d’Italia c’è almeno un tuo parente di secondo grado, un conoscente, un compaesano, una commare o un compare. 
- Quando viene a trovarti l’amico straniero, lo porti a visitare tutti i posti interessanti della tua zona, compresa la sagrestia della chiesa e il conigliaio di tuo nonno. 
- Sai che uno straniero si riconosce perché d’estate fa colazione con cappuccino e brioche. 
- Almeno una volta nella tua vita hai detto a un abitante della Pianura Padana: “Quando noi andavamo a teatro a vedere le tragedie greche, voi vi spulciavate sulle palafitte”. 
- Almeno una volta nella tua vita hai pronunciato la frase: “Guarda che spettacolo, eh, il mare azzurro e la neve sull’Etna, una vista così non c’è da nessun’altra parte!” 
- Hai un complesso di superiorità rispetto al resto del mondo. 
- Per te “Totò e Peppino a Milano” non è un film comico, bensì un documentario sull’emigrazione di Rai Educational.

mercoledì 11 dicembre 2013

Se rinasco giovane


In principio era il motorino, incarnatosi nella Trimurti  Ciao - Sì - Bravo. 
Il più giusto era il Sì, con quella sua linea asciutta e snella, il pedale elegante, terribilmente sexy soprattutto nella versione blu. 

Né moto, né bici, era più un motorino da maschio - possibilmente figo - che scorrazza imprendibile nel traffico cittadino; talmente sottile, il Sì, da consentire sorpassi vertiginosi di auto in coda e slalom proibitivi tra macchine in sosta vietata. Nulla lo fermava, neanche la salita; solo che, la salita, specialmente se ti portavi dietro qualcuno, te la dovevi conquistare, aiutando il motore (anch’esso snello) con l’energica e volitiva pedalata di rinforzo. Il passeggero, nel frattempo, era sceso e se la faceva a piedi, finché la pendenza non diminuiva. Richiedeva prestanza fisica ed elasticità mentale, il Sì, e anche una fede incrollabile nelle proprie forze. E l’idea che non tutto ti era dovuto, come arrivare in cima a una strada in salita comodamente seduto. Era formativo, ecco. Il Sì era avventura, brivido dell’imprevisto (la benzina finiva senza avvertire), equilibrismo e velocità. Ma non c’era niente di più bello di un ragazzo bello sul suo Sì con una ragazza dietro abbracciata stretta (soprattutto se quella ragazza eri tu).


Poi c’era la Vespa 50, non la mitica Special, ma quella a tre marce, concepita specificamente per le femmine scorrazzanti. 

Velocità massima raggiungibile: 35 chilometri all’ora, ma solo se in discesa e col motore in folle. Vespa Bianca, da guidare sgasando tra un cambio e l’altro; le marce andavano cambiate a cazzo, mai con criterio (essendo una vespa per femmine). La Vespa 50 aveva una linea aerodinamica che produceva un curioso effetto ottico: slanciava la guidatrice, rigorosamente seduta in punta di sedile, pancia in dentro e sedere in fuori,  buco del culo stretto. Mai appoggiare il piede per tenersi in equilibrio rallentando: io riuscivo a tenerla in piedi anche cinque secondi da ferma. Poi il piedino veniva fuori di lato e hoplà, la gambetta si profilava in tutto il suo nitore, bella soda come può esserlo solo la gamba di una quindicenne. Niente casco, almeno all’inizio: e i capelli fonati non temevano di essere mestamente schiacciati contro il cranio producendo il temibile effetto “chioma pisciata”. 
Ci ho passato i miei vent’anni, sulla mia Vespa 50. E poi i trenta. 
Ci sono andata quando ero single, ci ho portato i miei fidanzati, me la sono contesa con le mie sorelle, persino con mio padre. 
Ci sono andata anche col pancione, piano piano, faccia al vento e libertà che ti viene ancora incontro, anche se pesi venti chili in più - cinque solo di tette - e ci hai l’utero abitato. 
D’estate, prendo le mie bambine e me le carico sulla vespa e poi facciamo un giro tutte insieme, senza casco, per le strade del paese. Mi faccio filmare da una sorella e poi mando il video ai miei suoceri e a mio marito, così, per rassicurarli sul fatto che le bambine stanno bene e si divertono. 

Il Sì e la Vespa 50 fanno parte del mio personale pantheon locomotorio; idolatrati e rimpianti, soprattutto mentre venivano sostituiti dagli orrendi scooter goffi, potenti ed esteticamente refrattari ad ogni tentativo di mitizzazione, nemmeno attraverso la miracolosa luce del ricordo che tutto trasfigura.

Fino a ieri mattina, quando ho capito che il presente non è sempre da buttare via per il solo fatto di non essere più il passato. 

Ore sette e cinquanta, in ritardo per la scuola, in macchina, piede impaziente sull’acceleratore, prima innestata; davanti a me una minuscola Apecar nera fiammante (cioè nera con fiamme gialle dipinte sui fianchi e sul retro); impreco tra i denti: proprio ora il vecchiarello sull’Apecar, non ci voleva, ci impiegherò una vita ad arrivare. E invece la coda si sblocca, l’Apecar sgasa, mi apre la strada fino al cortile di scuola. Con una svirgolettata veloce l’Apecar parcheggia; si apre la portiera, scende la mia alunna di prima F. E’ la più brava della classe; è miracolosamente bella (per avere quattordici anni e l’apparecchio ai denti), è alta, slanciata, naturalmente elegante. Non ha il casco, solo il portachiavi in mano. 
In classe la interrogo: ma l’Apecar è di tuo nonno? No, è mia, l’ho chiesta quando ho preso il patentino. Ma perché non uno scooter? Sorriso: d’inverno fa freddo, l’Apecar ci ha il riscaldamento. E poi è più sicura dello scooter.

Ecco, se rinasco giovane, non so più se preferirei tornare negli anni Ottanta sulla mia Vespa, oppure se non mi piacerebbe piuttosto essere una quindicenne strafiga del ventunesimo secolo che fa tendenza su un’Apecar nera fiammante. 

Ma probabilmente sceglierei l'Apecar, perché l'eterno ritorno, sai che palle.





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domenica 8 dicembre 2013

La ballata delle domande impossibili


Chiedeva un bel giorno una bimba alla mamma:
“Ma perché devo fare per forza la nanna?"
Bimba mia cara, risposta non c’è: 
ti basti sapere che dorme anche il re; 
dorme la regina con la principessa, 
le tre fate madrine e la povera orchessa. 
Dorme Rapunzel dalla chioma dorata, 
e non ti dico la Bella Addormentata!
Schiaccia un pisolino persino re Artù: 
non romper le palle, su dormi anche tu!
non far la ritrosa, su dormi anche tu!"

Chiedeva la bimba pensosa al papino: 
"Babbo, chi porta la posta al postino?" 
Il babbo davvero non ci ha mai pensato; 
e nemmeno tu: lo dai per scontato 
che il postino ti porti plichi e bollette; 
ma la posta, nella buca, a lui chi la mette? 
“Papà, rispondi, lo voglio sapere 
e non cercare di darmela a bere”. 
Il babbo ci pensa ma non trova risposta:
“Ma che minchia ne so di chi gli porta la posta?”
"Purtroppo non so chi gli porta la posta!"

“Mamma, mammina, un dubbio mi assale: 
dove va a finire codesto animale?” 
“Non vedo animali, in questo consesso: 
ci sei solo tu, amore, seduta sul cesso” 
“Dicevo di questo bell’animaletto, 
che è uscito or ora dal mio culetto!” 
“Signore del cielo, è questa una cacca? 
Ricorda piuttosto una sbuazza di vacca!”
“Mammina, rispondi, non divagare: 
finirà forse in mezzo al mare?"
“Estinguerebbe i pesci, questo molosso; 
spero tanto che vada a finire in un fosso!”

Una domanda impossibile ce l’ho pure io: 
perché cacano tanto, signore mioddio?

(non è colpa mia: ha cominciato lei, Enrica Tesio)

venerdì 6 dicembre 2013

Parenti serpenti, docenti fetenti

Giorno di colloquio con i genitori. 
Non è mai indolore. 

Introduzione 

Li conosci da un paio di mesi: hanno ascoltato in silenzio le tue spiegazioni (o forse avevano su le cuffiette dell’ipod); hanno risposto alle tue domande, più che altro a gesti, e tu ti sei fatta un’idea di quello che hanno imparato. Sai che quella che siede dietro al banco è solo la punta dell’iceberg. 
Poi arriva il momento del colloquio con i genitori, e lì ti chiedi se troverai la risposta ai tanti perché: perché sono fragili, perché sono forti, perché sono coriacei, perché sono insicuri, perché non parlano, perché parlano troppo. Sai che non sei lì solo per cercare risposte, ma anche per darne. I genitori conoscono i loro figli, ma non i tuoi alunni. 
L’alunno, se va bene, conosce le risposte alle tue domande. E le tue domande, sfortunatamente, non sono mai quelle giuste. 

Sono le due, il colloquio inizia fra un’ora; ma dietro la porta della tua aula si snoda una fila di gente accampata che neanche all’ingresso degli Apple Store quando esce il nuovo iphone. 
C’è chi pranza, chi ha chiesto rinforzi anche ai parenti acquisiti per fare la fila scaglionati dietro le porte di tutti i docenti della classe; c’è chi fa chiacchiera mondana per ostentare il proprio miracoloso bambin gesù, chi è in impermeabile, cappello e occhiali per non farsi riconoscere (“Ma quella non è la mamma di Marco, quello che ha staccato il termosifone dal muro?” “No, è la mamma di Kevin, quello che ha dato fuoco al ripostiglio delle cartine geografiche”). 
Si chiacchiera per passare il tempo, per scambiare opinioni, anche se tutti sono d’accordo che quella professoressa è una stronza, quel professore puzza, quell’altro è un comunista.

Arrivi col tuo registro, la tanica d’acqua anti gola secca e il sorriso rassicurante di un impiegato di Equitalia.
Prego, si comincia. 

Random 

- Sono la mamma di Marta, prima D. 
- Prima D? Non ho nessuna Marta in prima D. Forse in seconda C? 
- Ah, è già in seconda? Però, come vola il tempo! Ma allora chi c’è in prima D? 
- Non saprei. 
- Dev’esserci Alice. O forse Chiara. Mi scusi, sa, ho cinque figlie. 
- Comunque, ora che ci penso, io non ho nessuna Marta nelle mie classi. 
- Non è l’Istituto Tecnico, questo? 
- No, signora, è il Liceo Scientifico. 

Il ghost writer 

- Professoressa, cosa le è sembrato del tema sull’amicizia che aveva assegnato per casa? Ha corretto quello di Matteo? 
- Mah, non era male; forse ha usato troppe coppie di aggettivi... 
- Ah, troppi aggettivi. 
- Sì. 
- Però erano dei begli aggettivi, no? 
- Sì, ma erano troppi. 
- Dice che ne dovrei usare di meno? 
- Lei non so; l’autore del tema sicuramente sì. 
- Però era ben scritto. 
- Abbastanza.
- Perché lo stile è importante. 
- Certo. Anche la punteggiatura. 
- Cosa non andava nella punteggiatura? 
- Non c’era. 
- Ma il contenuto andava bene?
- Un po’ scontato... 
- E che voto gli ha dato? 
- Sei meno.

Il genitore si allontana mesto, le spalle curve sotto il peso di un sogno spezzato. 


Il centometrista 

Il papà di Giovanni ha fatto un’ora di fila; l’ha fatta per entrare in aula, stringermi la mano, presentarsi, chiedere “come va mio figlio”?, farmi rispondere “bene”, non darmi il tempo di aggiungere “ma”, salutarmi e andar via. Non si è nemmeno seduto. Ma forse non è nemmeno mai entrato. Forse l’ho solo immaginato. 

La fede incrollabile 

- Mio figlio Mirko non ha bisogno di uno psicologo. E’ solo un po’ troppo sensibile. 
- Signora, Mirko ha problemi di autocontrollo. Deve imparare a gestire lo stress. 
- E’ solo un po’ esuberante, vorrei vedere lei seduta immobile per ore, come gestisce lo stress.
- L’ho interrogato sul piuccheperfetto congiuntivo, mi ha risposto “cazzo, non lo so”; io ho esclamato: “Mirko!”, lui ha detto: “sono un coglione!”. Capirà che così non va per niente bene. 
- Lo so; ha sempre avuto poca autostima. 


Concorso in eccesso di metodi correttivi 

- Come va mia figlia Monica? 
- Male; le ho messo tre, ma solo perché sono un’inguaribile ottimista; ha fatto scena muta, nel senso che anche per dire “no, non lo so”, scuoteva la testa. 
- Ma almeno in classe si comporta bene, è educata? 
- Anche troppo; di solito dorme. 
- Ho capito. Così non va, dobbiamo intervenire.
- Bene! Essere consapevoli del problema è un primo passo verso la soluzione. Ne parli con Monica.
- Parlare? Lei non ha capito, professoressa: io stasera, quando torno a casa, prima le dò una bella fraccata di legnate, poi la chiudo in camera sua e sotterro la chiave. Se non basta, ci pensa suo padre a convincerla. Una bella cinghiata e vedrà come andrà bene a scuola poi! 
- ... 
- ... 
- Comunque, signora, quel tre, non è che sia proprio un tre. E’ più un cinque meno meno, diciamo.


La mamma tuttofare

- Professoressa, io non capisco come mai mio figlio a casa faccia tutti i compiti giusti, e poi nelle verifiche mi prende sempre l'insufficienza.
- Perché i compiti glieli fa lei, signora. 
- Questa è una calunnia. Io non gli faccio i compiti. Io controllo soltanto che non faccia errori di distrazione. Sa, è tanto distratto.
- Il paradigma di "volo"?
- Volo, vis, volui, velle.
- L'anno del primo triumvirato?
- 60 a. C.
- "Parcere subiectis..."
- "...et debellare superbos"!
- ...
- ...
- Signora, lei ha studiato. Otto più. 
- ...
- Ora però, mi faccia la cortesia, lasci studiare anche suo figlio. 


***

Se volete sapere invece cosa ne pensano i genitori di quel caravanserraglio che è il corpo docente, leggete qui


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martedì 3 dicembre 2013

Sei tutti i miei sbagli

Beati quei pochi che, guardandosi indietro, possono dirsi con allegria e spensieratezza: rifarei tutto uguale!

Io no, e qui di seguito riporterò l’elenco degli sbagli madornali che, se potessi tornare indietro, sicuramente non rifarei. Pena: dover rivivere esattamente la stessa vita fatta di amarezze, incertezze, frustrazioni, occasioni mancate, abbagli accecanti, cantonate irreversibili, danni esiziali, vicoli ciechi, strade sbarrate, sentieri che costeggiano precipizi, baratri, burroni. Una vita normale, insomma.

- Ariane?
- Sì, Solal?
- Ti prego: no.
- Cosa no?
- L’elenco no. E’ inflazionato. Basta, non se ne può più! Nei blog è tutto un fiorire di elenchi, liste, hit list, cataloghi, enumerazioni per punti, top ten e top five. Hanno stufato.
- Ma allora Nick Hornby? La lista è una citazione di Nick Hornby, un autore fondamentale per la nostra generazione!
- Ecco: dopo le liste, l’altro insopportabile luogo comune è l’autoreferenzialismo generazionale.
- L’auto che?
- Sì, quando ti metti a fare l’amarcord pop-trash dei tuoi anni migliori. Tipo i riferimenti ai cartoni animati.
- Ah. Non si fa?
- Perché, tu l’hai fatto?
- Sì: ho parlato dei cartoni animati che mi hanno formata.
- Ma che originalità! E lasciami indovinare, magari l’hai fatto con una lista...
- Beh, sì.
- Ecco, lo sapevo. Sei di una banalità disarmante.
- Ma no, ma no, Solal. Diciamo piuttosto che noi protagonisti della blogosfera rispettiamo dei trend, seguiamo il mainstream 2.0, personalizzandolo però con i nostri stilemi - nel mio caso, le citazioni in latino...
- Ariane.
- Eh.
- Tu non sei una protagonista della blogosfera. Tu scrivi cazzate che legge solo tua madre.
- Beh, anche le mie sorelle.
- Le tue sorelle.
- E mia cugina Lori!
- Tua cugina Lori.
- ...
- ...
- Vabbè, però ora come faccio a scrivere il post sui dieci sbagli madornali della mia vita? Non è uno, sono dieci, devo elencarli per forza in ordine cronologico; o in ordine crescente in base ai loro effetti sulla mia personalità...comunque sia, devo elencarli, non c’è via d’uscita. E poi gli elenchi piacciono: alleggeriscono, sdrammatizzano, hanno un elegante effetto climax.
- Ariane, ma sei sicura che a qualcuno interessi qualcosa dei tuoi sbagli?
- E certo!
- Perché?
- Perché sono esemplari.
- Ne dubito.
- Invece sì; il più grande, per esempio, è stato presentarmi a scuola il primo giorno di liceo con un giubbotto di jeans della Wrangler personalizzato con i colori per tessuti: sul retro avevo disegnato Snoopy che tiene in mano un cartello con su scritto “Keep out”.
- Non vedo lo sbaglio madornale che segna una vita.
- Ah no? Erano gli Anni Ottanta, Solal! A scuola erano tutti paninari firmati etichettati e marcati! Uno strafigo di terza mi ha superato in corridoio e mi ha detto: “Snoopy... ma guarda, che originale”. Poi si è allontanato, lentamente, in modo che io potessi prendere nota del suo giubbotto Best Company, i jeans Turquoise, le calze Burlington a quadri scozzesi, le Timberland e lo zainetto Invicta; non aveva il Moncler solo perché eravamo a Siracusa ed era settembre.
- Era un paninaro. E allora?
- Non è perché era paninaro: è stato per quel “Che originale” sussurrato con perfida condiscendenza. Da quel momento, ho giurato a me stessa che non sarei mai più stata originale!
- E ci sei riuscita perfettamente, a giudicare da come ti vesti. E dai post che scrivi.
- Ho passato i quattro anni successivi a risparmiare per comprare le Timberland. Solo che ormai in quinta si usavano le Doctor Marten’s. Per quelle, però, ho dovuto aspettare l’ultimo anno di università. Quando andavano le Clarks.
- Conformista in ritardo. Che tristezza, in effetti.
- E non sai il mio secondo sbaglio madornale!
- Qual è?
- La prima volta che tu mi hai chiesto, da sotto le coperte: amo’, lo fai tu il caffè stamattina? E io, ignara, ti ho risposto: “Ma certo, amo'!”
- Quindi?
- Non ho più smesso. Di farti il caffè. Da allora. Amo'.
- ...
- Uno sbaglio imperdonabile, di quelli che si pagano per tutta una vita, Solal. Lo sto ancora scontando.
- ...
- Vuoi che ti dica gli altri otto?

- Solal! Torna qui! Non scappare!

giovedì 28 novembre 2013

Prenda pure una cadrega...

Gita scolastica in Trentino. 

- Eccoci qua: tutti presenti, tutti seduti; possiamo andare. Mi scusi, autista, a che ora arriveremo a destinazione? 
- Tra due ore, professoressa. 
- Ariane, vieni a sederti qui davanti con me e Alberto, così chiacchieriamo un po’ durante il viaggio.
- Grazie, Caterina, ma preferisco stare qui dietro a schiacciare un pisolino. Recupero un po’ di sonno perso. Sai, la neonata. 
- Nessun problema. Alberto, di cosa chiacchieriamo per due ore io e te? 
- Non so, Caterina; hai qualche pettegolezzo sui colleghi? Malattie, corna, accoppiamenti? 
- Io no; e tu? 
- No. 
- Ah; che ne dici allora se ci scambiamo qualche luogo comune sui meridionali, per ingannare il tempo?
- Che bella idea! Comincia tu. 
- I colleghi terroni li riconosci subito perché girano per la scuola con lo sguardo sperduto, perennemente depressi come uno che è stato appena eliminato agli Home Visit. 
- E poi sempre a lamentarsi del clima: e qui fa freddo, e qui piove sempre... 
- Eh! Perché loro hanno lu sole, hanno lu mare... 
- Se gli chiedi “come va?” ti scoppiano a piangere in faccia perché gli manca la mamma, gli manca il fidanzato, gli manca lo sfincione... 
- L’anno scorso ce n’era una che si teneva la stufetta accesa in classe anche a maggio. 
- Che poi, se qui soffrono così tanto, perché non se ne restano nella loro terra? Hanno lu sole, hanno lu mare... 
- Hanno la disoccupazione...
- Eh, ma vuoi mettere i pomodori profumati? Non come quelli nostri, che sanno di cartone! Che poi, se vengono a stare qua, va a finire che gli tocca pure lavorare. 
- Hai sentito che alla Regione Sicilia hanno speso un milione di euri per fare i corsi di formazione per maestri di sci? E poi li hanno assunti: maestri di sci dipendenti della Regione! 
- Certo, con tutta quella neve che hanno! 
- Lu sole, lu mare, la neve... 
- Tutti a sciare sull’Etna! Coi maestri di sci pagati dalla Regione. 
- Vedrai che l’anno prossimo ce li ritroviamo qui sulle Dolomiti, i maestri di sci della Regione Sicilia. 
- Quando si tratta di spendere schei, sono dei fantasisti. 
- I schei degli altri. 
- I nostri schei. 
- Tutti i nostri bei schei spesi per mantenere maestri di sci sull’Etna. 
- E le nostre montagne vanno in malora, che ce le invidiano in tutto il mondo. 
- Eh, ma loro ci hanno lo Statuto speciale. 
- Altro che Statuto speciale; io la sorveglianza speciale gli darei, altro che.
- ... 
- ... 
- E senti, Alberto... 
- Sì? 
- La nostra collega qua dietro, Ariane, hai sentito che strano accento che ha? Non mi sarà mica una terruncella pure lei? 
- Sicuro non è di qua: una volta le ho sentito dire al bidello una cosa del tipo “scendi lo scatolo in palestra”. 
- E che lingua è? 
- Boh. 
- Però io so che ha sposato uno di qua. 
- Guarda che loro sono furbi, eh? Fanno i matrimoni misti così ottengono subito la cittadinanza.
- Comunque, deve essere terrona: la prova è che dorme in servizio. 
- Lei dorme e noi siamo qui a lavorare; allora è terrona. 
- Eh, ma magari è un caso. 
- No, guarda: c’è il riscaldamento acceso ma lei non s’è tolta nemmeno i guanti; è lì che dorme col giubbotto addosso. 
- Allora l’è proprio terrona. Quanti figli hai detto che ha? 
- Tre figlie femmine. 
- Eccola là. L’è terrona di sicuro.
- Effettivamente, tre indizi fanno una prova. 
- Eh, non si scappa. Li riconosci subito, anche se provano a mimetizzarsi. La razza l’è la razza. 
- Eh, già.

martedì 26 novembre 2013

Questi sono i miei auguri, sorella

Quando è nata io c’ero ma non me lo ricordo. 

Quando aveva tre mesi sono passata di sera nella sua cameretta, le ho messo il cuscino sulla faccia e le ho rimboccato lenzuolino e copertina sopra il cuscino; poi sono uscita dalla stanza chiudendo bene la porta. Non so perché, ma è ancora viva. 

Quando aveva tre anni io ne avevo sei, ma non giocavo con lei. 

Quando aveva sei anni, io ero Jo di “Piccole Donne”, lei Amy. 

Quando aveva sette anni, ha cominciato a giocare a pallavolo per merito mio e io per merito di Mimì Ayuara. Ma lei era più brava sia di me che di Mimì. Infatti non ha più smesso. 

Quando aveva dieci anni era scheletrica e ossuta e se al mare entrava in acqua fino alle ginocchia, da lontano sembrava un fenicottero rosa. 


Quando aveva tredici anni era ancora scheletrica e ossuta, però era diventata bellissima. Io invece ero un’adolescente-ragno: mi erano cresciute le braccia, le gambe e il naso. Le tette no. E non lo hanno mai fatto. Le sue invece sì. 

Quando aveva quindici anni lei viveva nel suo universo, io nel mio. Comunicavamo solo per litigare: 
Spegni la luce! 
No, devo finire il libro! 
Ho detto spegni la luce!  
No! 
Stronza! 
Stronza! 

Quando aveva diciotto anni è andata via di casa: si è trasferita dall’altra parte dell’isola e non ci siamo viste per un po’. 

Quando aveva vent’anni, era la più bella. 
Tanto non dura, mi dicevo. 
E’ durata. 

Quando aveva ventiquattro anni, si è fatta male al ginocchio. Io ne avevo ventisette e mi ero fatta male al cuore. Siamo guarite insieme, condividendo la vecchia cameretta e le sigarette. 

Quando doveva fare scelte importanti, io non le ho mai detto: stai sbagliando. Avrei dovuto farlo.

Quando è morto Bastiano, lei c’era. Io no. 

Quando mollava un fidanzato, ne trovava subito un altro. 

Quando aveva trent’anni, le ho prestato dei libri da leggere. Non me li ha più restituiti. 

Quando è diventata mamma anche lei, ha capito. 

Quando sono andata a vivere lontana, non era d'accordo. 

Quando non mi chiama per mesi, io non la rimprovero. E viceversa. 

Quando torno a casa, d’estate, mi accorgo di quanto mi manca durante il resto dell'anno. 

Quando ha compiuto trentasette anni, io le ho fatto gli auguri così.





lunedì 25 novembre 2013

Minima memoranda

Un bicchiere di vino buono che non ti sai spiegare, perché non te ne intendi. 

Il tuo alunno dell’ultimo banco che alza lo sguardo e sorride, pensando a chissà cosa. 

La domenica pomeriggio, tu che guardi un film qualunque con Gerard Butler, i resti della colazione del mattino sparsi intorno. 

Le bambine che colorano concentrate, in silenzio, prima che vengano a mostrarti il disegno. 

Il bidello che ti apre la porta al mattino col suo caldo “Professoressa, in ritardo anche oggi?”. 

La signora che ti incontra per strada e benedice per te la Madonna perché hai tre bambine appese al passeggino. 

Tuo marito che attraversa la stanza e accidenti, la sua sagoma non vuole invecchiare. 

La linea della matita sull’occhio, per una volta diritta e ben disegnata. 

La neonata che dice bauuu guardandosi allo specchio. 

La telefonata della mamma che chiama anche se non ha niente da chiedere. 

Il battito in più del tuo cuore ogni volta che clicchi su “pubblica il post”. 

Il freddo scricchiolante delle terse mattine invernali. 

Il parabrezza ghiacciato dell’auto, non mi ci abituerò mai. 

Il libro di I. B. Singer che continui a perdere e a ritrovare in un cantuccio, una borsa, un ripiano, un cassetto, perché Bianca ama nasconderlo. 

Ecco, questi sono i miei futuri ricordi di oggi.