- Carmela, io non sono ancora pronta.
- Nemmeno io lo sono, Ariane.
- Per un istante, un lungo terribile istante, lungo quanto il resto della mia vita, Carmela, ho pensato che tu lo fossi.
- Eh, forse l’ho creduto anch’io; ma non era il momento.
- Però, Carmela, ci hai messo davvero paura. Io ho pianto e ho conosciuto la disperazione. E’ un buco profondo dentro cui precipiti senza cadere. Semplicemente sai che non si torna indietro.
- Eh no che non si torna indietro.
- Tu però sei tornata, Carmela.
- Sì, fiato mio. Ma lo sai anche tu che non è per sempre.
- Perché invece non può essere per sempre? Perché te ne devi andare? Io non voglio che mi abbandoni.
- Non ti abbandonerò. Me ne andrò soltanto.
- Nonna, senza di te finisce un mondo e quel mondo è il mio.
- Non ci si può separare dal proprio ombelico, Ariane. Non ti illudere.
- Nonna, non mi raccontare la solita storia che rimarrai per sempre nei nostri cuori e tutte quelle stupidaggini. Tu sei già nei nostri cuori: io voglio che tu resti per sempre nella tua cucina e che mi prepari la frittata come la sai fare solo tu.
- Guardami, Ariane. Sono vecchia e pure stanca. Tutti quelli che mi hanno vista crescere non ci sono più. Mi sento sola.
- Ma ci siamo noi, nonnina. Noi non contiamo nulla per te?
- Tutto, voi contate tutto.
- E allora perché te ne vuoi andare?
- Me ne andrò quando sarò pronta.
- Io non lo sarò mai.
- Dovrai.
- Piangerò.
- Nella vita si piange, ma è bella lo stesso. Ed è sempre vita.
- Vita, nonna, non morte. La vita è bella, la morte no.
- L’una non esclude l’altra, però.
- Nonna, non riuscirai a convincermi.
- Non ci provo nemmeno Ariane. Io ti voglio bene.
- Anch’io te ne voglio, nonna.
- Ho il cuore malato.
- Prendi un po’ del mio, è già tuo.
- Serve a te, il tuo cuore. Ti serve per crescere e per amare.
- Sono cresciuta amandoti, nonnina.
- Non sempre, perché io so anche essere cattiva.
- La Sfinge che divora chi non sa risolvere l’enigma non è cattiva: fa solo il suo dovere.
- Dev’essere vero, se lo dici tu che hai studiato tanto, nipotina mia.
- Eh, mi sono pure laureata.
- Me lo ricordo. Tuo nonno era così fiero di te, quel giorno. Ti chiamava “dottoressa”, tutto orgoglioso. Lo ero anch’io.
- Ma tu mi dicevi: “dottoressa di questa coppola di cazzo”, nonna!
- Eh, ma lo sai che io ho il mio modo di esprimermi.
- Lo so. Mi dicevi “buttanazza” quando mettevo le minigonne, che bei ricordi!
- Eh, era vero. Gliela mostravi a tutti, che porcheria quelle minigonne.
- Era la moda, nonna.
- La moda delle buttanazze.
- Nonna, io senza di te non sono io.
- Credimi, Ariane, tu sei tu anche senza di me.
- Io sono io anche grazie a te. Resta ancora qui, nonna, mi devi dare ancora tanti baci e mi devi insultare quando fumo le sigarette e mi devi ricordare che Amalia, Concettina e Graziella loro sì che sono delle femmine perbene perché stirano, sbattono i tappeti e rifanno i letti ogni mattina.
- Io ho cercato di insegnarti le cose giuste.
- Lo so, nonnina. Tu sei stata brava, io no perché non ho imparato niente.
- Tu e le tue sorelle non siete brave, ma siete le mie nipoti.
- Abbiamo avuto questa fortuna, nonnina. Non ci lasciare.
- Non vi lascio. Adesso vai, va’, che sono stanca e voglio riposare.
- Vado nonna, buona notte. Torno domani a trovarti qui in ospedale.
- Ariane?
- Sì, nonnina? Cosa vuoi dirmi? Tutto quello che tu dici è vero e necessario.
- Le fave, Ariane. Togli tutte le scarfoglie alle fave, vedrai che sono tenere tenere senza scarfoglie.
- Certo, nonna, tutto quello che vuoi tu. Toglierò le scarfoglie. Tu però non te ne andare mai più.
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