lunedì 28 aprile 2014

La solita storia


Alla regina Zenobia del Regno di Palmira viene dedicato pochissimo spazio nei manuali di storia: è appena una parentesi fra il regno di Gallieno e quello di Aureliano, durante quel torbido periodo che va sotto il nome di “anarchia militare” del tardo impero romano. 

In mezzo alle tante Poppee e Drusille e Giulie Domne, madri e mogli di imperatori, passate al vaglio della memoria storica per i soliti motivi ginecologici, spicca questa impavida regina che osò sfidare l’occhio dell’onnipotente aquila romana per fondare un impero tutto suo. 
Da una parte, una donna, una reggia accogliente e splendida adagiata in un’oasi del deserto siriano, come una perla dentro uno scrigno. Dall’altra, il principio maschile del potere che tutto prende, l’artiglio rapace del maschio alpha che conquista e assoggetta per diritto di destino, con le sue colonne istoriate che si ergono dritte e dure verso il cielo di Roma, e un monito acuminato ai popoli assoggettati: vae victis




- Prof, ma il libro non dice niente su questa regina Palmira. 
- Zenobia. La regina Zenobia del Regno di Palmira, in Siria. E se non c’è scritto niente, allora chiudete il libro e ascoltatemi. 

Zenobia iniziò la sua carriera come tante altre prima di lei: era moglie di un re, un tizio che si chiamava Odenato e che aveva ricevuto il permesso dall’imperatore Gallieno di fregiarsi del titolo di Re dei Re: in cambio si era impegnato a fare da cane da guardia contro i Parti, la secolare spina nel fianco orientale dell’impero romano. Odenato muore assassinato, come era usanza nei periodi torbidi. 
Cosa fa Zenobia? Un’altra, al suo posto, si sarebbe accontentata del ruolo di reggente e avrebbe aspettato che il legittimo erede raggiungesse la maggiore età, per poi farsi da parte e lasciarlo governare. Zenobia, invece, si sentiva regina dentro e non aveva intenzione di fare la madre del re. Anche perché suo figlio si chiamava Vaballato.
- Vaballato, prof? 
- Probabilmente il nome era stata un’idea del padre. Zenobia, comunque, non era una donna comune. Era bellissima, la fama della sua avvenenza aveva superato i confini del regno e, contro ogni pronostico, era anche colta e intelligente. Parlava tre lingue, arabo, copto e greco e masticava un po’ di latino; era appassionata di storia e di teologia e aveva difeso gli ebrei che vivevano nel suo regno. Era troppo bella e troppo intelligente per fare la comparsa. E così decise di rimanere al centro della scena e di andare incontro al suo destino. 
- Questa mi sa che finisce male. 
- In effetti. Sapete cosa diceva di sé? Che era la discendente di Semiramide, di Didone e di Cleòpatra. E voi sapete come sono finite, queste tre. 
- ‘Spetti prof che faccio un wikipedia veloce veloce con lo smartphone. 
- Michele, tocca quel telefonino e finisci in ginocchio dietro la lavagna. 
- Prof, la lavagna è appesa al muro. 
- Meglio. 
- ... 
- Comunque, Semiramide finisce nell’inferno di Dante tra i lussuriosi, Didone si suicida perché è stata abbandonata da Enea che l’ha usata e poi gettata via con la scusa che doveva andare a fondare una città di maschi alpha, e Cleòpatra, piuttosto che farsi catturare viva da Cesare (da cui aveva pure avuto un figlio, Cesarione, che però Cesare non aveva voluto riconoscere, nonostante l’evidenza onomastica), si fa mordere da un aspide e scenograficamente muore. 
- Muore anche Zanobia?
- Zenobia. No, cioè sì, alla fine tutti devono morire, ma lei non si suicida. Però non va a finire come lei avrebbe voluto. 
- Vabbè prof, è normale che le è andata male! L’impero romano era imbattibile! 
- Sì, ma il suo progetto non era del tutto sconclusionato: l’impero romano era in piena crisi, detta appunto la crisi del III secolo: si erano susseguiti sul trono decine di imperatori acclamati da soldati e assassinati da soldati che acclamavano un altro imperatore per poi assassinarlo. Il solito passatempo dei maschi, insomma, che adorano giocare a chi ce l’ha più lungo. 
- Eh?! 
- Sì, a chi aveva il nome più lungo: e infatti alla fine diventò imperatore Aureliano (nove lettere, una in più di Gallieno). Aureliano, maschio, imperatore, con manie di grandezza e annesse insicurezze virili, non può tollerare che una donna, dai confini dell’impero, osi sfidare la sua autorità. Fa finta di niente solo finché Zenobia si limita a governare il suo regno in nome del figlio. Poi, però, succede che Zenobia esagera. Aveva un generale bravissimo, Zarba, e lo mandava a zonzo per il Vicino Oriente a conquistare regni in suo nome. Siccome, oltre a essere bellissima, era anche dotata per lo sport, montava a cavallo, si metteva in testa all'esercito e lo guidava in battaglia. 
- Ma dài: come Lady Oscar. 
- La regina cominciò a battere moneta e a farsi chiamare imperatrix, perché comandava l’esercito, e Augusta: e questo era il titolo che spettava all’imperatore. 
- E all’imperatore questa cosa non piaceva! 
- No. Così, Aureliano marciò su Palmira, mise a ferro e fuoco la città, fece massacrare gli abitanti, catturò la regina e se la riportò a Roma come trofeo di guerra. Si dice che l’abbia fatta camminare in catene d’oro alla testa del corteo trionfale. Pensate che spettacolo per il popolo romano: la formidabile regina, la donna più bella d’Oriente, gli occhi scuri felini, i leggendari capelli di seta nera, i denti come perle, costretta tra la polvere e i lazzi della soldataglia romana, lontana dalla sua gente e dalla sua ricchissima ed elegantissima reggia immersa tra le palme dell’oasi nel deserto siriano... 
- Come finisce, prof? L’ammazzano? 
- Qui le fonti divergono; c’è chi dice che venne strangolata o decapitata nel Carcer, come accadeva, dopo il trionfo, a tutti i nemici di Roma che venivano catturati in battaglia. L’Historia augusta ci tramanda invece che Aureliano la graziò e la costrinse a vivere per il resto dei suoi giorni in una villa di Tivoli, controllata a vista ma circondata da tutti gli agi. 
- E perché non la uccise? 
- Sembra che fosse rimasto soggiogato dal suo fascino e dalla sua personalità. Dicono che ebbe altri figli da lui. O da un ignoto senatore romano con cui si sposò. 
- Ma io non capisco prof: perché non si è suicidata come le altre? 
- Mettiamola così, Michele: ognuno si sceglie la fine della storia che più gli piace. E’ quello che ha fatto Zenobia, in fondo. 
- Mah. Sarà. A me sembra una storia da femministe sfigate. Che poi la morale della favola è che le femmine, quando cercano di fare i maschi, finiscono male. 
- Michele, dietro la lavagna! 
- Alla fine si salva solo perché è bona!
- In ginocchio, Michele!
- Ma l’ha detto lei che dobbiamo fare interventi intelligenti e motivati durante le sue lezioni!