venerdì 10 ottobre 2014

Sopore anarchico

Notte d’autunno di due anni fa; ho appena depositato la mia terza figlia tra le braccia sapienti delle puericultrici dell’ospedale della ridente e piovosa città di F*****. Nel corridoio illuminato dalle luci di emergenza incontro lei. L’ostetrica ridens. Ha un sorriso fisso e vagamente demoniaco, la pupilla immobile come quella della mamma-ragno di Coraline. 


“Signora, è tardi; cosa fa ancora in giro a quest’ora?”
“Non riuscivo ad addormentare la bambina: sono stravolta. Non so che fare. E sì che è la terza...”.
L’ostetrica continua a fissarmi con il suo sorriso immobile. 
“Signora, i bambini appena nati non dormono in modo regolare. Non possono farlo. Nemmeno la sua lo farà. Sono condizionati da un retaggio ancestrale, un sistema di protezione genetico, sviluppato quando ancora vivevamo nelle caverne: se la madre si addormenta, i cuccioli sono in pericolo. Non possono sopravvivere se qualcuno non li protegge dal freddo o dalle bestie feroci. Il loro cervello rettiliano fa da sentinella. La madre non deve dormire”. 
“E il padre?”.
“Il padre va a caccia ed è meglio che dorma, altrimenti la famiglia non mangia”. 

Vacillo. 

“Provi con la musica; la musica e il canto fanno miracoli”.

L’ostetrica si allontana; vedo solo la sua nuca, ma so che il sorriso è ancora lì, inquietante e privo di senso come quello dei due vecchietti di Mulholland Drive. 



Sono passati due anni. Le notti insonni non mi sono state risparmiate nemmeno questa volta. La mia prima figlia si è svegliata ogni due ore per un anno e mezzo. La seconda ogni tre, per due anni. La terza si sveglia, tuttora, secondo un timing notturno imprevedibile. 
Tre figlie, moltiplicate per anni di risvegli: il risultato sono io, oggi. Quel che resta di giorno.

Svegliare un essere umano ogni ora è una tortura brevettata dai cinesi e inserita nel loro famigerato repertorio come rimedio per prigionieri particolarmente coriacei. Dopo gli elettrodi sui testicoli e lo schiacciamento degli alluci, c’è la tortura del sonno. Io sono una reduce, una veterana pluridecorata che porta ancora i segni delle sevizie subite durante la prigionia. 

Eppure, domani, la mia ultima bambina e il suo cervello rettiliano compiranno due anni. Si sta per chiudere un’epoca fatta di risvegli atroci e fumo nel cervello, palpebre marsupiali e maratone di estenuanti addormentamenti canori.
Quanto abbiamo cantato, per fare addormentare le creature.

Per celebrare i due anni passati e dando per scontato che, nella mia vita, non dovrò mai più addormentare una neonata, ecco di seguito la colonna sonora soporifera degli ultimi nove anni. 

1) Prima bambina:

  

L’Arca di Noè, di Sergio Endrigo

Impostata in loop nell’iphone, “partirà, la nave partirà”: la nave partiva, la bambina si addormentava. I genitori, invece, rimanevano svegli, con gli occhi fissi nel buio, a interrogarsi sul significato di una delle canzoni più angoscianti della storia musicale italiana. 

“Un volo di gabbiani telecomandati
e una spiaggia di conchiglie morte.”
...
“Un toro è disteso sulla sabbia 
e il suo cuore perde kerosene.
A ogni curva un cavallo di latta
distrugge il cavaliere.”
...
“La casa è vuota, non aspetta più nessuno.
Che fatica essere uomini!”.

Niente maternity blues per me. Ma vi assicuro che l’Endrigo blues è stato molto peggio. La bambina, invece, è cresciuta sana e allegra. So, però, che un giorno me la farà pagare. 

2) Seconda bambina: Into my arms, di Nick Cave.


Ah, quella voce, Nick. Vibrante e roca, forte e carezzevole allo stesso tempo. 
Parole che dovrebbero sempre accompagnare una donna, che sia suo padre o il suo uomo a dirgliele. 

"I don't believe in an interventionist God
But I know, darling, that you do
But if I did I would kneel down and ask Him
Not to intervene when it came to you
Not to touch a hair on your head
To leave you as you are
And if He felt He had to direct you
Then direct you into my arms".

3) Appena nata, la terza bambina reclinava il capino su qualunque spalla (preferibilmente quella del padre), non appena partivano le note del Nessun dorma (Turandot, Puccini). 


    

Poca coerenza, lo so. Ma quel “Vincerò” lo ha introiettato per bene.
Crescendo, i suoi gusti musicali si sono evoluti. Ha iniziato a ipnotizzarsi con Addio Lugano bella. Canzone di anarchici, da cantare a squarciagola in coro familiare. 

"Addio Lugano bella, o dolce terra pia (con la pronuncia veneta, diventa: “o dolce terapia”)
scacciati senza colpa, gli anarchici van via.
E partono cantando, 
con la speranza nel cuor”.

Il risultato è una bambina con le idee chiare: non solo vincerà, ma lo farà a modo suo.