venerdì 20 febbraio 2015

Colore in classe

F. viene dal Burkina Faso. Nero, delicatamente muscoloso, sembra controllare dall’alto della sua estraneità quello che fanno i suoi compagni. 
E i suoi compagni bestemmiano, scherzano, ruttano, fumano sigarette elettroniche, consumano il telefonino con i polpastrelli, ascoltano musica, dormono con le braccia ripiegate sul banco, fissano un punto della classe e svuotano la mente di quel poco che c’è dentro. 
Il prof d’italiano riempie la lavagna di date e parole in stampatello; sta spiegando il Romanticismo a gente che il romanticismo lo declina a colpi di commenti raffinati alle foto delle amiche su Facebook (“Vorrei il tuo culo sulla mia faccia”).
F. invece prende appunti, sorride con gli occhi, ha l’aria di uno che capisce tutto dell’umanità, in tutte le forme in cui essa si manifesta: nulla lo sorprende, nemmeno i pantaloni aderenti con il risvoltino che tutti indossano, tranne lui. E' taciturno. Non si isola e non partecipa, semplicemente sta al suo posto, che è solo suo e non può essere condiviso. Lo lasciano in pace, forse lo rispettano. Le battute sul colore della sua pelle sono bonarie, venate di allusioni ammirate alla sua supposta prorompente virilità africana; sono cresciuti a pane e leghismo, nel sottobosco di provincia ombrosa da cui provengono: non sono programmati per considerarlo uno di loro. 
Eppure è diverso. Studia, non bestemmia, non manca di rispetto ai prof, passa i pomeriggi nella biblioteca cittadina a leggere o a connettersi a internet perché a casa non ha né libri né connessione. 
“Prof, ma tutto‘sto romanticismo ce lo mette in verifica?” 
“E certo”. 
“Ma non è che ci incula tutti?” 
“Tutti no: anche volendo, non ne avrei l’energia necessaria. Solo qualcuno.” 
Risate piene di rispetto. Il prof non è uno stupido. Ride pure F., anche se lui una parola come “inculare” non la userebbe mai. Specialmente con un professore. 
E' arrivato qui con suo padre; la madre non ce l’ha. Forse è morta, forse è rimasta in Burkina Faso. I suoi compagni non lo sanno. Negli spogliatoi, non si toglie mai la maglietta, perché non vuole mostrare le cicatrici che ha sul petto. Quando era bambino, al suo paese c’era la guerra. Chissà chi gliele ha fatte quelle cicatrici, e perché. Durante le pause, non va mai in bagno, forse perché non fuma. Disegna loghi e figure astratte con la matita, mezzo sorriso sulle labbra, il tratto sicuro, l’espressione concentrata. 
Ha una voce profonda e pacata, lo sguardo diretto ma impenetrabile.
Non si può fare a meno di guardarlo e di chiedersi cosa c’è dentro quel cranio perfetto, cosa hanno dovuto reggere quelle spalle armoniose, che faccia ha la ragazza di cui si potrebbe innamorare. 
La immagino alta, l’apparecchio ai denti, i capelli lunghi color sabbia, il colore dei capelli delle ragazze di qua. Diversa anche lei, con gli occhi trasparenti. Come una mia alunna dell’anno scorso. 

mercoledì 11 febbraio 2015

Auto-indulgenza plenaria

Tata Lucia, quando viene a visitarmi in sogno, mi fa sempre piangere. Con spietato puntiglio, infilza tutte le mie inadeguatezze di madre e fa di me uno spiedo sanguinolento. Poi mi rosola a fuoco basso per fare trasudare tutti i miei errori.

- Le unghie di piedi e mani si tagliano a cadenze regolari. 
- Ma la mia seconda figlia ama rosicchiarsele da sola. 
- Anche le unghie dei piedi? 
- Sì, giuro, se le mangia per benino, io con le forbicine non saprei fare meglio. 
- E i lunghi capelli della prima? Lo shampoo glielo devi fare tu: non puoi pretendere che una bambina, a nove anni, si sappia lavare i capelli da sola. 
- Ma deve pur imparare, prima o poi. 
- Sì, e nel frattempo la mandi a scuola con un turbante di pelo unto che sembra il fondo della padella dopo che hai fritto le triglie infarinate. Ce l’hai presente quel colore caramellato della farina fritta e bruciata? Nonché l’odore? 
- Sì. 
- Ecco. E la piccola, poi; non vedi che si gratta dappertutto? Ha la dermatite atopica da due mesi. Sai che la dermatite atopica va curata? 
- Sì, lo so. Bisogna ungerla sei volte al giorno con tre pomate diverse, poi chiamare il pediatra per informarlo dei progressi, poi ricominciare con altre tre pomate. 
- E tu lo fai? 
- Beh, no. Però la sera la gratto, così si addormenta prima. 
- E la seconda bimba, così fragile, schiacciata com’è nel suo interregno tra una primogenita diligente e un'ultima arrivata tenera e deliziosa che attira tutte le attenzioni? 
- Ma no, ma no. Credo che sia semplicemente indemoniata; un bell'esorcismo e passa tutto!
- E tu cosa fai per risolvere il doloroso conflitto tra il suo amore per le sorelle e il bisogno affettivo di sentirsi per una volta al centro della tua attenzione? 
- Mah, per esempio, io non la picchio. Non la scaravento dall’auto in corsa quando si toglie la cintura e viene a staccarmi lo specchietto retrovisore; non la chiudo nello sgabuzzino dei panni sporchi, come elegante contrappasso al fatto di avermi insozzato tutte le pentole con l’olio e la farina perché deve giocare a Masterchef - e io non posso certo tarpare le ali alla sua fantasia e creatività. E ogni volta che mi chiede di comprarle un giochino, le dico sempre di no, perché non voglio viziarla. 
- Sì, ma poi, ogni volta, glielo compri. I bambini hanno bisogno di coerenza. 
- Eh, ma sennò non smette di piangere! Il suo pianto mi strazia, preferirei andare a combattere lo Stato Islamico coi curdi a Kobane, piuttosto che stare a sentirla piangere! 
- Bell’eroismo. E poi che autorevolezza genitoriale dimostri lasciandole pascolare per casa senza nessuna modulazione organizzata del loro tempo? Non programmi le attività del pomeriggio, non giochi con loro, le dai in pasto ai maiali…
- Suvvia, per qualche oretta di Peppa Pig…
- Sei una madre rinunciataria, pigra, disorganizzata e poco empatica, snaturata, distratta, ritardataria. 
- Ma se ho un capello bianco per ogni petalo di cornflakes che mi sono dovuta chinare a raccogliere da terra!
- Non basta certo così poco per dirsi madre. 
- ...
- Hai comprato i vestiti di carnevale? 
- E' già Carnevale? 
- Hai predisposto le attività del weekend? In che modo stimolerai il loro sviluppo cognitivo? Sai inventare giochi che favoriscano la crescita di un ricco mondo interiore? 
- Ma se non faccio altro che implorarle di giocare a qualche gioco creativo che arricchisca il loro mondo interiore e di lasciarmi in pace!  
- Implorarle? E come le aiuti a incrementare la coordinazione e la motilità fine? 
- Mah, ogni tanto chiedo alla grande di lavarmi i piatti… 
- Hai costruito la loro autonomia costringendole a dormire ognuna nel loro lettino fin dai primi mesi di vita per non indulgere nel vizioso attaccamento al corpo materno? 
- Il mio letto è il loro letto, veramente. 
- Ariane, sei il più alto concentrato di cialtroneria materna auto-indulgente che io mi sia mai trovata di fronte. Con te non servono nemmeno le regole da scrivere sui biglietti e da attaccare in giro per casa, che pure sono in genere infallibili. 
Io ti faccio lo scalpo.

Alla fine del sogno, Tata Lucia mi gira le spalle brandendo il suo tomahawk insanguinato e si allontana nella prateria, con la mia dignità di madre legata alla cintura.

Lo so che sono indifendibile; c'è una cosa, però, in cui sono stata brava e te lo voglio dire qui, Tata Lucia, con orgoglio blasfemo:  sì, forse, sull'ordine, l’organizzazione e l’igiene personale ho ancora molta strada da fare (tanto, presto saranno maggiorenni, che fretta c’è?), ma quello che importa veramente, che importa a me, è che sono riuscita ad essere una madre-ceppo, una madre-rampa di lancio, una madre-navescuola. I piedi delle mie figlie hanno sempre poggiato saldamente sul mio corpo distratto, inerte e fallace; ed è da lì che hanno preso lo slancio e la forza per saltare nel vuoto, nei voli vertiginosi dell’inserimento al nido, del primo giorno di scuola, del primo tuffo in piscina, del primo pigiama party, del primo saggio di clarinetto. 
Al momento di andare, si sono sempre girate a guardarmi, con i capelli pieni di nodi e gli occhi accesi da una paurosa voglia di lanciarsi; mi hanno fatto ciao ciao con la manina, in un balenare di unghie troppo cresciute. Poi mi hanno sorriso con gli occhi e la bocca e si sono lasciate andare. Sono ancora qui che mi svolazzano intorno. E se ogni tanto cadono giù e si schiantano al suolo, a loro basta venire a toccarmi per ricaricarsi, prendere di nuovo la rincorsa e librarsi nel folle volo. 
Tata Lucia? 
Sì?