giovedì 19 marzo 2015

Prìncipi e topi

Prima della pubertà, l’educazione sentimentale di una fanciulla è in genere affidata alle fiabe e ai film d’animazione. Cenerentola mi sembrava un contributo importante, quindi ho portato le bambine al cinema. Sono piccole, possono ancora godersi una fiaba senza farsi troppe domande: danzano con gli occhi, sospirano e sognano di fare le giravolte nell’abito azzurro a corolla; o pensano che il modo migliore di apparire belle sia cospargersi di strass e andare in giro parate come un lampadario del Settecento. 



Con queste premesse, si cresce credendo nel lieto fine, nell’amore eterno, nel bene che trionfa. 
"Ricordati di essere gentile e di avere coraggio" dice la mamma morente a Cenerentola. La fanciulla continua a ripeterselo, più o meno ogni tre fotogrammi, per essere sicura che nulla le sfugga del complesso lascito materno: "essere gentili e avere coraggio; essere gentili e avere coraggio". 
E, con tutti i topi che circolano nel film, di coraggio, se sei una femmina, ce ne vuole parecchio. 
Il messaggio principale è, comunque, che dobbiamo sposare il più figo della festa. E fare tiè! con la manina ad Anastasia e Genoveffa. È l'effetto liberatorio del trionfo dopo la fatica, della rivalsa contro soperchierie e umiliazioni. Cenerentola, Pretty woman o Rocky Balboa: in fondo, è sempre la stessa storia. Puntuale, un sospiro di sollievo si leva dai piccoli petti all’arrivo della cavalleria pesante (la fata madrina armata di bacchetta magica), seguito da un ooh di meraviglia quando compare l’abito azzurro rotante e gli Swarovski tra i boccoli biondi. Fotogrammi colorati da inghiottire insieme a manciate di popcorn, e niente che vada di traverso. Come nelle migliori fiabe.

Non è ancora arrivato il momento di rovinare la festa a queste bambine innocenti, ma qui voglio stilare un piccolo promemoria di precisazioni puntigliose che, a tempo debito, potranno risultare utili. Perché, prima o poi, l’innocenza cresce. 

1. Queste fiabe ti fanno credere che la fase della sguattera sarà solo una brutta parentesi nella tua gioventù. Fare il bucato, cucinare, rammendare, spolverare, spazzare, lucidare: non durerà, ti ripeti; un bel giorno arriverà un principe con un cavallo e ti porterà via dalla cenere del camino. Errore. Il principe, infatti, pretenderà che tu gli stiri le camicie come faceva la sua mamma. Ma tu non sei la sua mamma e stiri veramente di merda. Almeno la matrigna non faceva confronti. 

2. Il principe di Cenerentola ha un padre comprensivo e dotato di solido patrimonio. Non ha una madre. La maggior parte dei principi una mamma ce l’ha, invece. E sa cucinare meglio di te. 

3. Non puoi veramente credere che quella scarpetta di cristallo tacco dodici sia comoda. Non lo è, credimi. Ricordatelo, quando a fine serata scenderai a quattro zampe lungo lo scalone scenografico, col mascara colato che sta per trasformarti in un panda - anche se con un vestito da urlo - e non vedrai l’ora che il dodicesimo rintocco ponga fine alle tue sofferenze. Scarpette di cristallo luccicante del cazzo. 




4. La triste verità è che non basta un bibidibobidibù perché i tuoi stracci Zara Basic si trasformino magicamente in abiti d’alta moda. La fata madrina che ti regala il vestito della tua vita e poi scompare in un ultimo frullo di stelline colorate non esiste. La carta di credito, invece, prevede l’addebito. Ed è quanto di più vicino a una fata madrina tu possa sperare di ottenere nella vita. (In Pretty woman, tra l’altro, la carta di credito veniva concessa solo dopo adeguata prestazione sessuale. Farsi due conti). 

5. Bambine, bambine, non temete: se anche avete i piedoni da hobbit (e i peli sull’alluce), non è detto che non troverete mai nessuno disposto ad amarvi. Recenti statistiche indicano che i principi feticisti sono piuttosto comuni; ma non tutti si concentrano sul piede. O sulla scarpetta taglia-talloni. Fortunatamente per voi – e per tutte noi - esistono anche i principi piglia-tutto. 

6. Non corrisponde a realtà il principio secondo il quale dovete puntare tutto su bontà, gentilezza e outfit sbrilluccicanti; anche lo studio è importante. Mi raccomando, studiate. Trovatevi un buon lavoro e rendetevi indipendenti. Questo vi consentirà, alla fine della festa danzante o dell’apericena, di chiamare un taxi all’ora che preferite, invece di dovervi catapultare sull’ultima zucca utile. 

7. In natura, non esistono topi carini e simpatici. Se sei una che accarezza i topi canticchiando, c’è qualcosa che non va in te. Forse è colpa dei film che ti hanno fatto vedere da piccola.

venerdì 13 marzo 2015

Giulietta storta

Il giovane marinaio torna a casa in licenza. Quindici giorni appena, ma è tempo sufficiente per raggiungere il suo scopo: trovare una fidanzata prima di ripartire per Pola. 
Idee chiare, futuro limpido. Una brava ragazza del suo paese, seria e lavoratrice come sua madre e le sue sorelle. Provvista di corredo, possibilmente. Sulla dote, nessuna pretesa; il marinaio è forte e le sue braccia hanno voglia di faticare: basteranno per due. Una candidata già in mente, la strada del paese che si snoda nel mattino assolato, una vita semplice ma giusta davanti.
Invece, di fronte alla chiesa, compare lei. Di bell’aspetto, pettoruta, il naso piccolo e gli zigomi alti, occhi acuti che sanno giudicare, labbra sottili, capaci di scherno crudele. Sta camminando sul marciapiede insieme a sua sorella e non si volta a guardare marinai che passano. 
Ma lui l’ha vista. 
Il destino si compie anche se ti cammina accanto senza che tu lo riconosca; sa fare da sé, per questo è destino. E il marinaio sa a chi appartiene quella giovane e conosce i passi da compiere. 
L’indomani, è a casa di don Ciccio, per chiedergli la mano della seconda delle sue tre figlie. 
Don Ciccio non si espone. “Prima devo chiedere a lei. Se ti vuole, non ci saranno problemi”. 
Sua figlia dice no. “Quello? Manco per sogno. È scuro, è corto e ha troppe sorelle. Non lo voglio sposare”. 
Don Ciccio ha fatto il suo dovere; ha chiesto prima di rispondere. Quando torna il marinaio, riferisce così: “Mia figlia accetta. Il fidanzamento si può fare”. 
E il giovane marinaio è contento. Tutto si è risolto in fretta e in modo ordinato, proprio come piace a lui. 
La parola è stata data, la ragazza ubbidisce. Si fidanzano. Scoppia la guerra. Il marinaio viene fatto prigioniero dai tedeschi dopo l’8 settembre. Passa tre anni a Magdeburgo: lavoro duro in fabbrica e zuppa di bucce di patate a pranzo e cena. Torna a casa, più magro e più forte. La ragazza è lì che lo aspetta. 
E poi il destino diventa vita, diventa anni, diventa una casa, una figlia, un genero e tre nipoti. 
Quanta carne vivente da una bugia astuta, dalla prepotenza affettuosa di un padre. Un sopruso, che oggi considereremmo odioso, invece di dare vita a un dramma elisabettiano, è all’origine della mia famiglia. 
“Nonna, ma tu lo volevi il nonno?” 
“Io? No. Proprio”. 
A mia nonna non avrei mai chiesto: “Tu lo amavi?”. La sua generazione coniugava solo i verbi volere e piacere. “Amare” era parola di noi giovani.
Eppure, si sono voluti bene, lei e il marinaio. Fianco a fianco, per sessanta anni. Lei più alta di lui, nelle foto in bianco e nero del matrimonio. Lui ballerino nevrile e instancabile. Lei ritrosa, timida, rovina feste. 
Ma quando rideva, rideva a cuore pieno e la sua risata ti spalancava l’anima. 
E, in fondo, nessuno è mai riuscito a farle fare ciò che non voleva. 
Nemmeno suo padre.


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