lunedì 14 settembre 2015

Here we go




Sono un’ottantina di facce, ognuna dotata di nome, cognome e zaino colorato: si trovano da qualche parte, là fuori, e mi stanno aspettando. 
Entro sabato le avrò viste tutte ma non avrò ancora imparato i loro nomi. Il mio lo scriverò alla lavagna e poi non lo useremo più, perché io sarò “la prof d’italiano” - se tutto va bene e non mi avranno intanto trovato un soprannome. 
Fra un paio di giorni toccherà a me entrare in classe e offrirmi ai loro occhi curiosi, alle loro orecchie disorientate, ai loro cervelli tremanti. I nasi fiuteranno paura ed eccitazione, esitazione e sicurezza. Mi vedranno sorridere spavalda e non sapranno che io sorrido sempre, quando sono emozionata e intimorita.
Mentre metterò la firma sul registro, richiamerò alla mente tutto quello che ho imparato e capito studiando per concorsi, corsi di abilitazione e di formazione: e cioè che l’unica cosa che serve per insegnare quello che sai, la scopri solo quando hai quelle facce davanti. 
Saranno in tanti e io sarò da sola, armata di un registro, un fastello di libri e una LIM mal funzionante alle spalle, il temibile equipaggiamento di serie; la penna no, me la dovranno prestare loro, perché io non ho mai una penna, quando serve. 
Non so, tra alunni e professoressa, chi pretenderà di più dall’altro. So che non basterà chiedere, che inizierà una lunga e sotterranea guerra di nervi, a chi resiste di più, a chi cede più tardi all’abitudine e alla monotonia del gioco di ruolo.
Ci saranno i momenti dell’esaltazione e quelli dello sfinimento, delle sorprese e delle delusioni, della gloria e della disfatta. In nove mesi, si ha il tempo di assuefarsi persino all’altalena di noia ed emozioni su cui si regge in bilico un intero anno scolastico. 
Ma il nostro primo giorno di scuola resterà unico e bisognerà che mi ricordi di guardarli subito negli occhi, tutti e ottanta, uno per uno, perché sappiano che io li vedo, come loro vedono me.