giovedì 1 giugno 2017

Il nòcciolo della questione

Quando ci siamo sposati eravamo due belle prugne mature.
Così succede quando l'amore dà i suoi frutti: due nòccioli si riconoscono uguali, strofinano le scorze, mischiano le polpe e poi fanno figli.
La forza di gravità che attira un corpo nell'orbita di un altro ha sempre origine da un centro duro e oscuro, nascosto sotto spessi strati molli.
Per sposarsi e fare figli è necessaria questa identità di nuclei: ti sento compagno perché dentro siamo uguali o simili e così è facile credere che sarà per sempre.
Magari ti accorgi che la polpa dell'altro è diversa, la buccia persino esotica; ma si sa che le differenze attirano.
Oppure sono simili anche i rivestimenti e allora l'abbaglio è più pericoloso, perché il simile è rassicurante.
Così ci si butta.
Se la scelta parte dal cuore, la vita insieme, invece, diventa più una questione di pelle.
Dentro, è necessario essere uguali per potersi amare ma, perché duri, è in superficie che bisogna giocare la partita.

Perché serve la scorza adatta per resistere al lento logorio della vita di coppia. L'eterno ritorno del lunedì mattina provoca un attrito che consuma l'involucro e intacca lo spessore della polpa: cambiano gli odori e i sapori, la prugna si secca.
E si sa che effetto faccia una prugna secca.
Se la pelle e la polpa erano non solo diversi ma anche incompatibili, è solo questione di tempo: il matrimonio è fottuto. Ma lo è anche se da fuori ci si somigliava: due scorze ugualmente egoiste o cialtrone sono destinate a consumarsi a vicenda, perché è più difficile perdonare a chi ti vive accanto i suoi difetti, se quei difetti sono uguali ai tuoi.

Eppure ci sono quei benedetti nòccioli che ancora si parlano e non sanno darsi pace di aver preso un così terribile abbaglio. Continuano a pulsare come due cuori nascosti e la storia va avanti, sbucciando e spremendo, finché non finisce.
A volte finisce da ferma: i due nuclei, in mancanza di alternative o semplicemente di coraggio, sono ormai diventati talmente inerti da non riuscire a spostarsi più, nemmeno per allontanarsi, e restano immobili a invecchiare insieme. La famiglia è salva, e tutto il resto è perduto.
Oppure finisce muovendosi: urtati da un terzo o quarto nòcciolo di passaggio, i nostri due centri si staccano, deviano, si separano.
È così che le famiglie si rompono. E poi, forse, si ricompongono in qualcosa di diverso.
Io e il mio nocciolo gemello siamo rimasti simili fino all'ultimo: cialtroni e simpatici e tanto ricchi dentro. Ma lui era diventato pesante come l'uranio impoverito; non attirava ma tirava giù, come le sabbie mobili di Battiato. 
Io ero già una prugna rinsecchita per astio, rinunce e rivendicazioni.
Nessuno dei due aveva più niente da dare, solo cose impossibili da chiedere all'altro. 
Entrambi sapevamo, per averlo provato, che altrove avremmo potuto funzionare meglio. Insieme, eravamo ormai solo la somma di due egoismi caotici e stanchi. 

Quando l'altro inizia a rinfacciarti quello che fa per te, è un segnale inequivocabile: significa che siete arrivati alla frutta, con o senza nòcciolo. Significa che ognuno ha cominciato a sognare e a desiderare per sé, non più per due.

Proprio perché il mio matrimonio è finito, so per certo che i matrimoni possono funzionare e ora so anche come.
Basta avere sempre voglia di prendersi cura dell'altro, o essere convinti che ne valga la pena; è giusto ricevere quel che si dà.
Basta non dare per scontato che la propria fatica sia sempre più grande di quella dell'altro, così come la propria ragione.
Basta non credere che l'altro debba comunque dare, anziché sentirsi grati perché continua a farlo. Basta darsi il cambio, ogni volta che si è così stanchi da avere voglia di scappare. Solo in quel caso, infatti, dopo esser scappati, si torna.
Basta che non sia necessario dover essere diversi, per essere amati; e sentirsi invece pronti a cambiare qualcosa di sé, non perché l'altro lo esige, ma proprio perché non lo fa.


In certi casi, purtroppo, queste cose non basta saperle e nemmeno volerle.
In certi casi, semplicemente, l'amore finisce.

E i figli, certo, soffrono. Ma non è detto che questo sia il prezzo più alto che due genitori infelici possano far pagare a un figlio.

Quando arriva il momento benedetto in cui riesci a tirarti fuori dalle sabbie mobili, comunque, hai solo voglia di fare un giro di danza in punta di piedi.

Da allora, io ballo.

(Questa l'ho scritta per Paola dagli occhi grandi, la vicina di casa che avrei voluto avere; perché un giorno mi ha chiesto: eravate così carini tu e Solal, nel blog! Cosa vi è successo? Ecco, Paola)


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