mercoledì 18 maggio 2016

Asciutta e felice

Appena sveglie, come ogni mattina, le manine di mia figlia percorrono ad occhi chiusi il mio collo, per inchiodarmi la testa sul cuscino e trattenermi ancora qualche minuto a letto. 
- Un po’ di coccole, mamma – piagnucola con garbo. 
Poi mi fa la solita domanda: 
- Oggi è sabato? 
- No – rispondo io, sei volte su sette. 
 Mentre i suoi polpastrelli mi ridisegnano i contorni del viso, sbadiglio e gli occhi si riempiono di lacrime di sonno. 
- Perché c’è una lacrima sulla tua faccia, mamma? 
- Perché vorrei dormire ancora. 
Lei ride come se le avessi raccontato una storia buffa, a cui non crede. 
 - No. Tu piangi di felicità, perché mi vuoi bene! 
Rido anch’io e sto per dirle che è vero, è come dice lei, piango di felicità perché le voglio bene e perché è bello svegliarsi con le sue manine addosso. Invece mi faccio prendere dall’imperativo categorico della sincerità e insisto: 
- No, amore mio, io non piango mai di gioia. Quando sono felice, io non piango. 

Lei continua a ridere e si fa distrarre dai suoi piedini nudi. Mentre si rosicchia con cura l’unghia di un alluce, io continuo a riflettere sul tema. La gioia e la felicità, per quanto intense, non mi hanno mai fatto venire le lacrime. Piango di dolore, piango di rabbia davanti alle ingiustizie, piango di autocommiserazione, soprattutto se sono nel periodo dell’ormone difficile. 

Immagino che si possa piangere anche di sollievo, di commozione, di gratitudine. Ma gioia e felicità, per me, hanno il volto asciutto, il sorriso e la risata, il cuore gonfio anche se leggero, i polmoni improvvisamente più capaci, gli occhi limpidi. 
 Nella mia personale fenomenologia del sentimento, le lacrime, se non soffro, si possono accompagnare solo a quelle risate semi-isteriche tra amiche, quelle risate che scoppiano improvvise dopo una serata di chiacchiere tra il metafisico e il postribolare, dopo lo scambio di confidenze atroci, di feroci prese in giro, di battute da caserma. Quelle serate che qualunque donna dotata di autoironia e amiche all’altezza conosce bene. Ma quella non è gioia: è culo. 

Questo, però, non è ancora il momento di spiegarlo a mia figlia. 


- Mamma, tu sei il mio cielo azzurro e io sono la tua stella – mi dice lei, recitando un verso della poesia che le hanno fatto imparare all’asilo per la festa della mamma. E me lo dice con l’alluce in bocca. 


Ecco, potrei piangere di felicità, per la bellezza di questo risveglio. 

Invece rido. Rido e salto giù dal letto, stanca come ieri, spaventata come ogni giorno, incasinata come un paese in guerra. 
Ma asciutta e felice, come quando la vita è bella un istante.


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