giovedì 16 marzo 2017

L'epica del quotidiano

Storie della buonanotte per bambine ribelli. Cento vite di donne straordinarie di F. Cavallo, E. Favilli, Mondadori. 



Non ho niente contro i bestseller e la letteratura mainstream: pensate che, a suo tempo, io mi sia tirata indietro davanti a Faletti, Tamaro, Camilleri o la Rowlands (non ho detto Volo)? Harry Potter per me è un capolavoro. 
Eppure, amiche mie entusiaste di questo libro per bambine ribelli, scusatemi, ma stavolta non sono sicura di volermi precipitare ad acquistare la hit del momento per cercare di capire, senza puzza sotto il naso, come mai piace tanto. (Per inciso, da un punto di vista narrativo, non è che sia il massimo della suspense  - cento storie, tutte con la stessa trama: bambina ribelle si ribella e diventa  una donna straordinaria). 
Pare che questo sia il libro che tutte le madri di bambine stavano aspettando da tempo. E come non riconoscere il valore edificante delle eroine esemplari che hanno dimostrato di poter abbattere barriere e pregiudizi con la caparbietà e la fiducia in se stesse? Mi domando però se questo basta.

Immagino che lo leggerete alle vostre figlie per dimostrare loro che se si ribellano a ciò che il sistema si aspetta dalle donne, allora potranno essere straordinarie e cambiare il mondo, come hanno fatto queste cento donne. Sei ribelle, quindi straordinaria, quindi ammirevole. 
Scusatemi, ma io non me la sento; perché, alla centesima biografia, le mie figlie chiuderanno il libro e si ritroveranno davanti me. 
E, mi costa ammetterlo, io non ho niente di straordinario. Sono una donna normale, che lavora quando è fuori casa e che il resto del tempo spazza-lava-piega i panni, riordina i cassetti e, se proprio dice male, stira. Già non ho la loro ammirazione per questi gesti - per me, sì, eroici - figuriamoci se poi, tra le figure di donne eccezionali, non ne troveranno nemmeno una che assomigli, almeno un po', alla loro mamma. 
In effetti io, finora, nonostante tutto l'impegno e la fatica che ci ho messo, il mondo non sono riuscita a cambiarlo nemmeno un po'. Avrei potuto ribellarmi, a un certo punto, e mollare figlie e famiglia per andare a inseguire i miei sogni di fanciulla e fare la vita metrosexual che sognavo mentre, sola e reietta, recuperavo calzini spaiati e magliette XXS stinte dalla lavatrice. Vabbè, direte voi, mica sei Madame Curie, l'umanità non si è persa niente se sei rimasta al tuo posto. 
Già, per cosa infatti bisognerebbe ammirare me e tutte quelle altre mule della storia che, a testa bassa, nei secoli della loro oscura normalità, si sono ingegnate per fare andare avanti famiglie, case, lavori, vite? E anziché dirci brave, ci fanno passare per docili mucche con l'anello al naso. Come se dipendesse da noi. Solo da noi.
Non dico che non sia meraviglioso che, ogni tanto, qualche cavalla di razza abbia avuto la forza di fare uno scarto sublime e correre libera nei campi della scienza, della politica, della letteratura etc etc., dimostrando che anche una donna può essere eccezionale. Ma io non sono sicura di volere che le mie figlie percepiscano come straordinario, inusuale, miracoloso, il fatto che una donna segua i suoi sogni e le sue inclinazioni. Non mi piace l'effetto "visita allo zoo" di chi ce l'ha fatta ed è stata per questo incorniciata in una Vita di donne illustri. Del tipo "Animali fantastici e dove trovarli": ammirate questi esseri fuori dal comune. Ribellatevi. Siate eccezionali, non ordinarie. 
Questo libro comunica l'idea che sia straordinario che una donna sia straordinaria.
Forse si potrebbe suggerire, fra un libro di donne da Guinness e l'altro, che anche le donne normali, con tutto quello che significa (e voi donne normali come me lo sapete) dovrebbero essere ammirate. Perché a me sembra che essere una donna forte non sia l'eccezione, ma la regola. E che non basti leggere le Storie di santi per ottenere la beatificazione.  

Mia figlia Bianca, sguardo tagliente e lingua come lama, mi dice spesso: io non mi sposerò mai e non avrò mai dei figli, perché non voglio faticare come fai tu, che lavori sempre e hai tre figlie che ti fanno impazzire. Certo, bambina mia. Hai ragione. Ribellati alla logica della madre di famiglia-mula: sii eccezionale, non banale come me. 
Ma non è questo che le auguro, in cuor mio. Io voglio che lei sia felice, non eccezionale. Credo che la straordinarietà stia nel poter avere tutto: figli, famiglia, carriera, successo. Senza per questo dover essere un uomo.  
E quindi a me basta che alle mie figlie sia chiaro un principio a cui tengo tanto: mai, MAI rinunciare a fare quello che volete solo perché siete femmine. E non importa se poi non sarete donne d'eccezione.

Affinché la loro vita sia più semplice della mia (che lo è stata a sua volta più di quella di mia nonna, a dire il vero) so che bisogna partire dalle piccole cose di tutti i giorni; insegnare loro con l'esempio come si combattono i pregiudizi che ci hanno legate alla macina del sacrificio e dell'insoddisfazione. Quelli per cui, ad esempio, il papà può stare via giorni per inseguire le sue passioni e i suoi hobby, che sia andare in giro ad assaggiare il vino e i suoi derivati o dedicarsi anima e corpo allo scialpinismo, ma la mamma no, perché si sa, quando ci sono figli piccoli, non ti puoi assentare per più di mezza giornata. Tu devi aspettare che crescano. 
Io me li immagino quei padri che, commossi e ammirati, leggeranno la sera queste storie bellissime di forza e riscatto alle loro bambine eccezionali, spronandole ad essere ribelli. Prima di andare a scofanarsi sul divano a vedere la partita, mentre la mamma, di là in cucina, finisce di riempire la lavastoviglie. 

Io mi concentrerei piuttosto sulle cose semplici e basilari: non è perché sei maschio che non ti puoi fare la valigia da solo. Mamme di maschi, insegnate ai vostri figli a piegare le camicie, perché io non ho nessuna intenzione di allevare le mogli che lo faranno al posto loro. 
E voi maschi che state leggendo, non crediate di essere persone eccezionali perché VOI la valigia ve la fate da soli. Lo siete se la preparate per vostra moglie o per la vostra compagna, quando parte in trasferta di lavoro o per un weekend con le amiche. 
Allora sì che sareste degni di entrare nel libro della buonanotte che farei leggere alle mie figlie. 
Insieme a Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf.


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mercoledì 8 marzo 2017

Avventura capitale

La caffetteria della Feltrinelli, a Largo Argentina, è un luogo accogliente, col suo brulicame silenzioso di lettori che siedono ai piccoli tavoli quadrati, i libri appena acquistati impilati accanto alla tazzina di caffè. 
Ogni tanto, il tavolo è occupato solo dai libri, che vengono usati come segnaposto da chi va in bagno od ordina l'insalata al bar. 
Sbircio i titoli e gioco a indovinare come sono fatte quelle persone dai libri che li aspettano. 
Accanto a me c'è una pila filosofica che culmina con un Platone. Immagino, senza tanto sforzo di fantasia, che chi ha acquistato quei testi sia un distinto professore dai capelli grigi e la giacca di fustagno spolverata di forfora; tra un po' verrà a sedersi, inforcherà gli occhiali e inizierà a sfogliarli con cipiglio consapevole. 
Invece, dopo qualche minuto, torna la proprietaria dei tomi: una signora dai lunghi capelli biondi come la mimosa appassita, con una camicia di seta troppo turchese, rossetto pastoso e la linea greve della matita nera che gira titubante attorno agli occhi grossi. Sembra il personaggio triste di un film di Fellini. Si siede accanto ai suoi libri e resta assorta, senza aprirli. 

Mi alzo per andare a prendere qualcosa da bere; lascio la mia borsa sulla sedia e, sul tavolo, una copia de La Pimpa e il cavallo bianco e una mappa di Roma centro. 
Al mio ritorno, trovo il tavolo occupato da un'anziana signora, immersa nella lettura del suo libro. Le chiedo se non la disturba condividere il tavolo con me e lei mi guarda confusa, e mi dice no no, nessun disturbo, e torna a leggere. 
Io mi siedo e fingo di sfogliare la Pimpa, mentre sbircio la mia compagna di tavolo. 
È linda. Mi vengono in mente alti finestroni esposti a sud e un pavimento chiaro di graniglia tirato a lucido, in una casa grande ma non vuota. Chissà se abita da queste parti. Ha il suo tailleurino nero con la camicia bianca e la catenina d'oro. I capelli biondo cenere sono fini e senza ricrescita, la pelle del viso bianca, morbida, tesa sugli zigomi. Una vecchia signora linda che passa la sua domenica pomeriggio da sola alla Feltrinelli. Legge Lezioni di comicità, di Matteo Andreone e questo mi spiazza, perché l'avrei detta più tipo da Murakami. E chissà chi è questo Andreone. 
Apro la cartina di Roma e studio le vie; poi cerco di ripiegare l'ampio foglio, ma è un'impresa titanica, perché le cartine sono  per natura entropiche: una volta aperte, vanno verso il caos e non si può più ristabilire lo stato di quiete iniziale. 
La signora alza lo sguardo dal suo libro e mi rivolge la parola con un sorriso divertito. 
- Cosa sta cercando? 
- Casa – le rispondo. 
- Dove esattamente? 
- In questo quartiere qui – e le indico un punto sulla mappa. 
- Questo quartiere è caro – mi dice lei. 
- Lo so. Infatti non la troverò. Cercherò da un'altra parte. 
- Viene ad abitare a Roma? 
- Sì, con le mie tre bambine. 
Fa uno sguardo stupito ed esclama “Tre figlie, così giovane!” 
Io rido grata e le rivelo la mia età. 
Lei vive da sola; ha un figlio grande che è andato a vivere lontano. Lontano, da come lo dice, potrebbe significare il resto del mondo. È vedova da tre anni, aggiunge con pudore. E soffre ancora. 
Ci guardiamo per un secondo, sorridenti. Siamo due donne di età diverse, sole di domenica pomeriggio, alla caffetteria della Feltrinelli
Lei è stata come me, un tempo. Con un figlio piccolo e tanta fatica davanti. E questo la fa sorridere. 
Si alza e mi dice: “In bocca al lupo”: e credo che si riferisca ai miei tentativi di ripiegare la mappa. Io, a mia volta, le auguro ogni bene. 

Mentre mi avvio verso l'uscita, penso che un sorriso e una breve conversazione cortese con un'estranea non ti risolvono certo i problemi. Ma non si va a vivere nelle grandi città per avere una vita più semplice. E nemmeno per vincere la solitudine: al contrario, più gente estranea hai attorno, più la solitudine trionfa. No. Le metropoli ti offrono solo la sorpresa degli incontri fuori circuito e questo, la domenica pomeriggio, può aiutare. 
Là fuori, se le cronache non esagerano, mi aspettano strade sporche, autobus in ritardo e tassisti molto cattivi. Oltre a un esercito di agenti immobiliari che hanno dimenticato di essere stati, un tempo, bambini. 
Ma che importa. 
La grande scommessa è preferire innumerevoli guai capitali alla minuscola giostrina di provincia, liscia e levigata come una bella lapide di marmo. 
Avrò tempo di ricredermi quando le mie figlie abiteranno il resto del mondo e io mi sarò stancata di aspettare l'autobus che non passa. Adesso, però, è arrivato il momento di scendere dalla giostra e attaccarsi al tram. 




giovedì 2 marzo 2017

Confessioni di una madre mediocre

“Ma come fai a far tutto?” mi chiede spesso la gente.

(Dati del problema: madre di tre bambine, separata, un lavoro come insegnante, un gatto domestico di nome Graffio, ribattezzato per amore di verità Master & Commander. Ma LUI, almeno, non piscia nel letto). 

A questa domanda io rispondo sempre con estrema schiettezza: riesco a far tutto perché faccio tutto male. 
Tutto. 

Le bambine. 
Igiene personale garantita: quasi sufficiente; non appena cominciano a puzzare di cane bagnato, le lavo. Non gioco mai con loro e quando lo faccio sono distratta e duro più o meno quanto le pile gialle dell'Ikea. Rapporto ambivalente con la TV: solo un'ora e mezza al giorno, ma con ampie deroghe a seconda delle condizioni meteo e del grado di abbandono personale e domestico, oltre che del numero di compiti da correggere. 

Il gatto: quando proprio non mi va di cambiare la lettiera, metto entrambi, gatto e lettiera satura, fuori dalla porta. Abbondo in croccantini low cost e non mi ricordo mai quand'è stata l'ultima volta che ha svuotato la ciotola. Lui mi ripaga con le palle di pelo.

La casa: ampiamente al di sotto della sufficienza. 
Arrendiamoci subito, quando misuriamo i nostri limiti, ma senza autocompiacimento: io le mie amiche le ammiro e invidio tutte. Quando torno a casa dopo essere andata a trovarle, per mezzora giro freneticamente rassettando random; sprimaccio un cuscino, ripiego un asciugamano, sistemo simmetricamente i vasetti sulla mensola in cucina. Poi apro il frigo e mi accorgo che lo zoccolo è marrone. Marrone, come se fosse colato del cioccolato due settimane fa e nessuno avesse passato la spugna. 
Come se. 
E allora mi arrendo e vado a vedermi un'intera serie su Netflix, barricata in cucina, per accorgermi qualche ora dopo che è troppo tardi sia per preparare la cena (e quindi: stasera pasta al burro) sia per rimediare al fatto che la più grande non ha ripetuto Storia (che io insegno, sia detto senza falsa modestia) e che resta a malapena il tempo di farle finire gli esercizi di Inglese. 
(E per inciso: non capisco perché siate tutti convinti che le serie su Netflix se le vedano esclusivamente le single professioniste senza figli. Solo perché poi loro lo scrivono su Facebook e io no? Ingenui. Sottovalutate la portata democratica e trasversale del binge watching. E la mia cialtroneria di madre. Cialtrona ma consapevole; quindi, ai miei occhi - e solo ai miei - irresistibilmente simpatica). 

Il mio lavoro: sono una grande improvvisatrice e problem solver. Una paracula, insomma. Se ho dimenticato che stamattina c'era la verifica sui verbi (e dico “se”), se mi è passato di mente di controllare le firme sul libretto, se anche stavolta non ho inserito i voti prima dello scrutinio e devo farlo durante, bene, niente panico: un rimedio si trova sempre. Basta fare in modo che non se ne accorgano le persone sbagliate. 

Certo, le cose si complicano perché, considerando che sono responsabile per questioni biologiche e professionali di un sacco di gente, quando combino un guaio o mi scordo di fare qualcosa, ci va sempre di mezzo qualcuno, a parte me. 
Per capirci: se dimentico in forno l'omelette per tre giorni, poi, il quarto giorno, qualcuno la trova e se la mangia (e non si tratta né di me né del gatto). 

Tu sei sempre altrove, mi si rimprovera spesso. 
Non ci sono mai tutta, del tutto, quando ci sono. 
Faccio metà di quel che dovrei, un terzo di quel che potrei e la sfango sempre. È il segreto dell'aurea mediocritas
Le mie bambine mi adorano, ma poi dicono che io non chiacchiero mai con loro. Papà sì. 
I miei alunni mi vogliono bene, ma pensano che io sia un po' scervellata e che mi vesta in modo strano (era solo una gonna pantalone!). 
Il gatto mi disprezza, lo leggo nei suoi occhi gialli. 

Dirsele, queste cose, non serve a niente. 
Basterebbe esserci, forse, esserci tutta e sempre. Dare il massimo e godersi la fatica anche quando è solo fatica. Ma io sono una madre, non la Dea Madre.

E allora: fare tutto e farlo male; guardarsi con gli occhi di chi ti chiede sorpreso: “Ma come fai a far tutto?”, e sentire di aver compiuto l'impresa. L'auto-indulgenza è la migliore amica dei cialtroni: bisogna saperla coltivare con dedizione. 
Ogni tanto mi guardo intorno e scatta l'angoscia da competizione: le altre, loro sì che ce la fanno. 
Potrei cucinare meglio, giocare di più, imporre più regole, impormi di seguirle io per prima, preparare le lezioni anziché improvvisarle. 
Invece, mi appunto la medaglia di latta sul petto, a fine giornata, e mi dico fiera che, anche oggi, l'abbiamo fatta franca. 
Tutto sommato. 

L'unico interrogativo che mi resta è: perché i bambini, quando aprono lo yogurt, appoggiano sempre il coperchio dalla parte interna sul tavolo, che poi si appiccica e lascia l'impronta di yogurt e non basta buttare la carta, bisogna pure passare la spugna? 
Coperchi di yogurt appiccicati sul tavolo. 
Tutti i giorni, senza un vero perché. 
Pare che si chiami vita.