venerdì 27 settembre 2013

Mi servirebbe sapere

- Ariane, migliaia di persone si domandano come mai tu abbia deciso di scrivere questo blog. Cosa rispondi? 
- Tu chi sei, scusa? 
- Niente, solo una voce nella tua testa. 
- Sento le voci dunque sono pazza? 
- No, senti le voci dunque sei creativa. 
- Ah. Questo lo stai dicendo tu oppure io? 
- Fa differenza? 
- No, in effetti. 
- Dicevamo. Migliaia di persone si chiedono cosa mai ti abbia spinto a scrivere questo blog. 
- Ah. E chi sono tutte queste persone? Le conosco? 
- Certo! 
- E dove sono? 
- Sempre nella tua testa. 
- ... 
- Perché sei molto creativa. Dicevamo, Ariane: quali motivi ti hanno spinto a... 
- Scrivere questo blog, sì. Dunque. 

 ELENCO DI MOTIVI PER CUI HO DECISO DI SCRIVERE QUESTO BLOG 


1) Perché noi donne vogliamo il pane e anche le rose. Il pane quotidiano lo vogliamo ma, soprattutto, lo offriamo alla nostra celeste prole. Le rose, invece, se aspetti che te le offra il giovin signore, stai fresca. Fai prima a far crescere un orto botanico sul davanzale esposto a nord. Oppure ad aprire un blog, nell’attesa di un improbabile omaggio floreale che ti faccia sentire gratificata e fidanzata. Apri il blog, dammi retta. Tanto lo sai che l’unico omaggio floreale che otterrai saranno un paio di calzini sporchi e spaiati da raccattare sotto il letto. 


2) Perché mentre il resto del mondo va ad aperitivi e happy hour, esplora il pianeta, visita le città d’arte, si dedica allo shopping, si iscrive in palestra, frequenta cineclub, assiste a conferenze e concerti, va a teatro oppure dall’estetista e dal parrucchiere a ritmo compulsivo, conosce gente, intavola discussioni impegnate sull’ultimo film di Sorrentino senza dover aspettare che lo passino su Sky, tu puoi solo rimestare il puré. O le pappine liofilizzate. O il ragù. Se ti va bene, ti aspetta un pomeriggio pieno di emozioni a tu per tu con la lavatrice. E allora sai cosa? Se non puoi evadere con le tue spoglie mortali, evadi con quei quattro neuroni affaticati sì, ma ancora combattivi che ti ritrovi. Scrivi un blog che terrà incollate allo schermo tua madre, le tue sorelle e tua cugina. E anche i tuoi cognati in incognito. E anche un garbato lettore che aveva digitato su Google “belle+signore+tette” e invece è finito nel tuo blog e gli è piaciuto. Un’anima strappata al Dio Oscuro dei pippaioli. Un cieco predestinato in meno sulla Terra.


3) Mah, a dire il vero un giorno ero lì che me la sfessiavo non sapendo che fare. Alle madri di famiglia che lavorano capita spesso. Mi sono detta: che faccio, intraprendo la traduzione integrale dei Medicamina faciei feminei di Publio Ovidio Nasone oppure apro un blog? Poi non ho trovato il vocabolario di latino. 

4) Perché sento le voci. Mi si accavallano nella mente e non mi lasciano mai sola. Io cerco di tapparmi le orecchie, mi chiudo in una stanza, accendo la tv e alzo il volume. Ma loro niente, sono sempre là, imperterrite, continue. A volte, mi svegliano nel cuore della notte. 
- Mamma, mamma! Mi fai ripetere le tabelline? 
- Mamma, mamma, mi pulisci il culetto? 
- Mamma, mi sono svegliata perché ho le formichine nella mano, me la bagni così vanno via?
- Ghegheghé? Aua? 
- Tacete! Basta! Adesso non posso! 
- Perché non puoi? 
- Perché...devo scrivere un blog. Via, smammate. 
E le voci, magicamente, tacciono. 

5) Perché soffro di narcisismo autoreferenziale con derive solipsistiche 2.0. 

6) Perché, se non c’è rimedio alla vita, la vita - qualunque vita - se ben raccontata, può essere un rimedio. Se ben raccontata. Altrimenti è un blog. 

7) Perché se arrivi alla mia età senza aver mai pensato a come saresti stata a questa età, ti ritrovi come me a questa età. All’improvviso ti accorgi che non ci puoi più fare niente. Che le cose che non hai ancora fatto forse le farai, forse no, ma comunque ormai è tardi. Che nella vita hai saputo azzeccare i tempi giusti come un orchestrale col Parkinson. Che c’erano cose che non andavano fatte e basta. Poi ti guardi attorno in cerca di significati e invece quello che trovi è un sorriso sdentato e bavoso, il segno del costumino su un culetto abbronzato, una testa china su un quaderno pieno di cornicette colorate e un bicchiere sporco di vino abbandonato accanto al divano. Lì capisci che i significati si offrono nella forma che meno ti aspetti. Ti precipiti a scriverlo su un blog.

8) Perché si può dire qualcosa attraverso il suo contrario; si chiama ironia. Perché l’ironia guarisce da un sacco di brutte malattie e rende le verità meno scomode... 

- Che due palle, Ariane! 
- Prego, Solal? 
- Che due palle, questo elenco! 
- Perché? 
- Perché peggio di una blogger sfigata, c’è solo la blogger sfigata che si prende sul serio. 
- Ah. Non ti interessa sapere perché scrivo questo blog? 
- No. Mi interessa sapere se hai messo le birre in frigo.
- ... 
- Fammi un panino, va’. E mettici tanta maionese. 
- E le rose, Solal? 
- Nel panino? 
- ... 
- Blogger sfigata. 
- ... 

Volete sapere perché ho iniziato a scrivere questo blog?

venerdì 20 settembre 2013

8 settembre 1943


L'otto settembre del 1943, Bastiano ha caricato lo zaino in spalla, è sceso dalla nave e ha cominciato a camminare. 
Gli alti comandi sono già al sicuro nelle zone liberate; tutti gli altri devono scegliere da che parte stare. A Bastiano non importa cosa decideranno i suoi compagni; il marinaio della fu Regia Marina non ha tempo da perdere: deve tornare a casa. I tedeschi, però, lo catturano prima ancora che si allontani dal molo e lo destinano al campo di concentramento di Magdeburgo, in Sassonia.

Bastiano non sa niente di politica. Non ha nemmeno capito cosa sia stato, veramente, il fascismo. Conosce però le cose che gli ha insegnato suo padre e che sono le stesse da cento e cento anni. Sa che gli ulivi non vanno concimati: bastano le foglie secche cadute. Che la loro terra va zappata due volte l’anno e che la raccolta dipende dalle annate. Bastiano sa leggere la forma del cielo e può dire quando pioverà e per quanto tempo. Sa che bisogna strappare l'erba nelle conche degli alberi di limoni, altrimenti l’acqua non arriva alle radici. E, se pianti i fagioli e le fave, la dispensa sarà piena tutto l'anno. 
I fagioli, l’olio, il vino e i limoni. La terra da zappare, i muretti a secco da tirare su perché la pianura è poca e devi azzannare i fianchi delle colline a colpi di mazza per livellare i pendii e terrazzarli. I massi scheggiati dei muretti a secco spezzano la schiena, ma Bastiano è forte e le sue mani tremano solo la sera, quando torna a casa ed è stanco e beve un bicchierino di Sambuca per farle stare ferme.

Queste sono le cose che Bastiano sa. I campi che conosce non sono circondati da filo spinato, nemmeno per tener lontane le pecore. Nei campi dove ha lavorato, si concentrano la fatica e il sudore, ma anche i frutti e i raccolti e puoi sentire l’odore della nepitella, che se la raccogli e la pesti poi ci puoi curare le sbucciature sui ginocchi.

In questo campo tedesco, invece, si concentrano uomini e sofferenze e il sudore puzza. Bastiano imparerà una nuova fatica nella fabbrica di munizioni dove lo portano a lavorare ogni giorno, insieme agli altri prigionieri. Si spacca la schiena, il rumore è assordante, i macchinari d’acciaio fanno tremare il cuore, non le mani. Poteva andargli peggio: al suo compaesano, Santo, catturato insieme a lui, è toccato scavare le fosse per i morti.
Dall’altra parte del filo spinato, c’è un settore del campo in cui sono rinchiusi gli spettri con la stella gialla. Loro sì che se la passano male, dice Bastiano.
A guerra finita, Bastiano tornerà nelle sue campagne e non avrà sparato nemmeno un colpo di fucile. La sua sarà stata una guerra da segnalatore con le bandierine sul ponte della nave; e fare la guerra con una bandiera è sempre meglio che farla col fucile.

- Nonno, cosa farai adesso?
- Resterò nel campo di concentramento e farò quello che mi comandano di fare. Imparerò a mangiare la zuppa di bucce di patata, imparerò a parlare il tedesco per sopravvivere e lavorerò, ogni giorno, finché questa guerra non sarà finita.
- La guerra finirà nel ’45, nonnino, ma tu tornerai a casa un anno dopo.

  • Tornerò quando tornerò; lascerò questo campo che non è campo e tornerò a casa da tua nonna. Le ho promesso che l’avrei sposata e lei mi aspetterà. M’è toccato in sorte di fare il prigioniero di guerra. La guerra mi ha portato lontano e, quando la guerra finirà, io tornerò a casa. Poi sposerò tua nonna e nascerà la mia bambina, una bambina con il viso tondo a cui insegnerò la cura e l’ordine, la fatica e la soddisfazione di un lavoro ben fatto. La darò in sposa a tuo padre che è lungo, secco e scuro. Devo tornare a casa perché tu e le tue sorelle possiate crescere sulle mie ginocchia. Tu avrai i miei piedi e la mia bocca e mi farai compagnia mentre innesto le piante di limone e ascolterai le storie di quando ero prigioniero.
    Poi, un giorno, me ne andrò, ma non per questo ti avrò lasciata.
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lunedì 16 settembre 2013

The Lobster Horror Kitchen Show (La mattanza)

Avrebbe dovuto essere una serata perfetta. La loro serata. Tutto era stato preparato con cura fin dal mattino; tutto sembrava concorrere alla riuscita del tête-à-tête coniugale: le bimbe Uno e Due spedite con la zia in città, felici di prendere il treno e con la prospettiva eccitante di uno smalto party; la neonata, simpatica e spigliata, zompettava per casa affabile e si faceva mettere a nanna nei tempi previsti.
Timing perfetto, ruolino di marcia rispettato in scioltezza, lume di candela no perché in casa vige la regola ferrea dell’understatement sentimentale.

Tutto secondo i programmi. Tutto perfetto.

E allora perché adesso loro due sono seduti uno di fronte all’altro, le mani tremanti, il volto imperlato di goccioline di sudore, un pallore da obitorio e lo sguardo vitreo?
- Solal, ma perché questo massacro?
- Ariane, stai zitta. Ho bisogno di riprendermi, sono estremamente scosso.
- È stata una tua idea; sembravi così sicuro di te. Io mi sono fidata.
- Ho sopravvalutato le mie forze e il mio coraggio; non succederà mai più.
- Io non sono riuscita ad assistere; ma da dietro la porta ho sentito tutto. Quei colpi, quanti? tre, quattro. E poi le bestemmie, e poi il coperchio della pentola che cadeva a terra, il frastuono. E poi il silenzio. Quel silenzio mi rimbomba nelle orecchie. Il silenzio della morte violenta.
- Taci, Ariane; non rievocare quelle immagini. Devo cercare di dimenticare.
- Ma perché ti sei accanito così su di loro? Non era quella la procedura.
- Tu eri dietro la porta, cristo, non eri lì con me; tu non hai visto i loro occhi.
- No; ma ho sentito il tonfo che ha fatto la testa quando è caduta sul pavimento.
- Ma perché? Perché decapitarli? Non sarebbe stato meglio buttarli vivi in pentola? Sarebbe stata una fine più veloce.
È vero, ma non me la sono sentita. Dovevo finirli in fretta, perché non soffrissero, perché non mi osservassero più con i loro occhi stupiti.
- Finirli in fretta? Ma li hai mutilati prima di decapitarli!
- Non l’ho fatto apposta; non riuscivo a prendere bene la mira, il coltello era scivoloso.
- Mioddio.
- Il primo, dopo avergli tagliato la testa, ha continuato a torcere la coda in un lungo estremo spasimo.
- ...
- E il secondo era lì mentre seviziavo il fratello. Ha visto tutto; poi mi sono rivolto verso di lui; nei suoi occhi, c’era un barlume di consapevolezza.
- ...
- Ma con lui ho fatto più in fretta. Un colpo secco e non c’era più.
- Ma perché usare anche il martello?
- Ormai ero fuori controllo.
- E adesso che fai, Solal, non mangi?
- No. Non ho più fame.
- E questo piatto prelibato, così bello nella sua composizione cromatica, il topping profumato con cui li hai cosparsi pietosamente...è un peccato lasciarlo lì, caro. Suvvia, mangia.
- Mangialo tu.
- Non ce la faccio.
- ...
- Solal, questa è stata una mattanza. Non una cenetta romantica a base di astice. Pensavo che a quest’ora saremmo stati languidi, occhi negli occhi e mani frenetiche.
- E invece, l’orrore, l’orrore...
- ...
- La prossima volta che dobbiamo cenare romanticamente, Ariane, hot dog e patatine fritte; mai più roba viva che bisogna trucidare per poi cucinarla. Mi dispiace, ma in me l’uomo delle caverne che uccide la preda a mani nude per sfamare il clan si è estinto definitivamente.
- ...
- Ariane, che ci beviamo per dimenticare?
- A stomaco vuoto?
- Sì, fa effetto prima.
- C’è lo zibibbo. 
- Quello te lo bevi tu che sei una enoanalfabeta. Io mi stappo una bottiglia di Verdicchio Eremi 2008 e libo in onore del Dio degli Astici.
- Basterà a placarlo?
- Il vino può tutto.

mercoledì 11 settembre 2013

Femen

- Uomini. Non ti sposano perché sei bella o intelligente. Ti sposano perché vogliono avere qualcuno che tiene in ordine la casa, che lava, che stira, che fa da mangiare. Vogliono una serva e anche una mamma per i loro figli. Se fai bene tutte queste cose, loro sono contenti.

- Chi ha parlato? Sei stata tu, Glenn
- No, Ariane. Era una badante moldava che passava sotto la tua finestra. 
- Cosa voleva dire? 
- La verità, Ariane. Lo sai anche tu che le badanti moldave parlano solo per diffondere il Verbo. Le loro parole sono scolpite nella pietra. 
- ...
Se palliduccia, Ariane. Come mai, la badante ha forse colpito nel segno?
- Quello che ha detto sarà pure vero in generale, ma non per me e Solal. 
Ah no? 
- Certo che no. Solal mi ha sposata perché ero un’intellettuale di bella presenza e perché ci amavamo come due persone fatte l’una per l’altra. 
Noto che usi l’imperfetto. Brava. 
- Ci amiamo ancora. 
Certo. 
- Però, forse, io non sono più un’intellettuale di bella presenza. 
E come mai questo rigurgito di lucida auto-consapevolezza, Ariane? 
- Perché ho uno specchio in casa e perché non riesco mai a vincere a Ruzzle. 
Prove schiaccianti. Ma il punto è: Solal è contento? 
- Certo. La donna della sua vita gli è accanto e gli ha dato tre splendide figlie. 
Ma la donna della sua vita non sa stirare. 
- Non è che non sa, è che non vuole. All’università ho studiato Letteratura, non Economia domestica.
La donna della sua vita, parole della Supersuocera, è “una casinista”. 
- Suvvia, per due calzini spaiati
La donna della sua vita non sa nemmeno fare la polenta istantanea. E carbonizza la bistecca al sangue.
- Sarà capitato un paio di volte. 
- La donna della sua vita non vuole andare in campeggio, però poi a casa sua sembra che si sia appena tenuto un rave party e che i partecipanti abbiano dovuto tagliare la corda perché è arrivata la polizia.
- Descrizione icastica ma un po’ iperbolica, Glenn. 
- Me l’ha suggerita Solal. 
- Davvero? Perché, vi parlate? 
- Certo, viene a piangere sulla mia spalla ogni volta che non trova nemmeno un pantalone pulito nell’armadio. 
- Ma dài! E io che credevo che voi conversaste solo di pesca sportiva. 
- Anche; poi però con me si sfoga. 
- E cos’altro ti dice? 
- Non lo vuoi sapere. 
- ... 
- ... 
- Glenn? 
- Sì?
- A questo punto dovresti ridere satanicamente. 
- A questo punto, Ariane, dovresti arrenderti all’evidenza e ammettere che tu e lui siete come tutti gli altri milioni di lei e lui. Banali, schematici, seguite meccanismi elementari e comuni, siete tristemente prevedibili e scontati. 
- Dicerie! 
- Ammettilo, Ariane. Siete come tutti gli altri.
- Mi rifiuto. Il mio matrimonio è diverso. 
- In cosa? 
- ... 
- ... 
- Vai, Glenn, colpisci con la tua risata satanica. 
- No, non rido.
- Perché? 
- Perché io non sono messa meglio di te. 
- TU? La stragnoccona arguta che lascia tutti a bocca aperta, che passa la sua vita tra una Spa, una pedicure e un aperitivo in centro? 
- Io. Quella che i mariti delle altre cercano per evadere dalle loro prigioni senza sbarre, con solo due esiti possibili della relazione: o tornano dalle loro serve, o la vogliono trasformare in serva. 
- ... 
- ... 
- Quindi tu, Glenn, sei una possibile me
- Sì. La mia unica alternativa alla solitudine è diventare l’Ariane di un Solal. 
- ... 
- Ovviamente preferisco la solitudine. 
- ... 
- Almeno non devo stirare camicie e poi sentirmi dire che non lo so fare. 
- ... 
- ... 
- Glenn, ci facciamo un goccetto? 
- Cos’hai in casa? 
- Zibibbo. 
- No grazie, vado al bar. 
- Ti prego, Glenn! Non abbandonarmi. Ascolta, conosco uno che potrebbe piacerti. Se vuoi te lo presento. 
- E chi è? 
- Un tipo molto affascinante. Sareste perfetti, insieme. 
- E come si chiama questo tipo affascinante? 
- Wyoming? 
- Sì. 
- E con chi è sposato? 
- Non è sposato. 
- Allora non mi interessa. 
- ... 
- ... 
- ... 
- Comunque, Ariane, le camicie vanno stirate con l’appretto, se no le pieghe non se ne vanno. 
- Glenn, mi sarebbe più utile qualche consiglio da femme fatale. 
- Con te sarebbe sprecato, Ariane. 
- ... 

Breve e mesta risata satanica.

lunedì 9 settembre 2013

Carne da cannone



Dopo la breve tregua estiva, la guerra è ricominciata. 
Di nuovo sul fronte, Ariane ha ripreso il suo posto lungo la prima linea che si snoda dirimpetto al filo spinato: sacchetti di spazzatura inevasa occhieggiano arcigni dallo sgabuzzino; non dovrebbero essere là. 
Il soldato semplice Ariane tiene la posizione; immobile sotto la pioggia, l’elmo calcato sulla fronte, la baionetta innestata e la lama del pugnale tra i denti, si prepara a combattere. 
La trincea è invasa dal fango; qua e là galleggiano pannolini sporchi e i resti di un picnic. Sull’orizzonte basso, minacciosi rombi di cannone annunciano che il nemico non riposa. O forse sono tuoni, chissà. Forse è la neonata che digerisce. 
Il soldato semplice Ariane serra i denti sulla fredda lama: è pronta per l’assalto. Da un momento all’altro inizierà la scuola. Non avrà il tempo di riflettere, durante l’azione: bisognerà equipaggiare la cartella della prima bambina, preparare il corredo da asilo della seconda, organizzare i turni di accompagnamento con Solal e con le altre mamme. La Supersuocera farà il resto, grazie a dio. 
Il cambio stagione accende l’orizzonte coi suoi lampi minacciosi. Gli armadi non si chiudono, dai cassetti sporgono mutande e calzini e vestiti da ballerina, tutto appallottolato alla rinfusa, tutto mestamente stropicciato. 
Il soldato semplice Ariane è stanco; la licenza è durata poco, giusto il tempo di rivedere il suo mare e di dirgli nuovamente addio. Non sa se tornerà; non sa se la sua nonnina l’aspetterà anche stavolta. Ma la Patria chiama, bisogna rispondere. Il soldato semplice Ariane sa che non si possono eludere i micidiali ingranaggi della guerra di logoramento: accompagna le bimbe a scuola, vai a recuperare le bimbe da scuola, sbrigati! faremo tardi per la lezione di clarinetto...ah non è oggi? E oggi cosa c’è allora? La piscina? La pallavolo? O forse il bilancio di salute dal pediatra? 
Ma Ariane non si perde d’animo: alle sue spalle, la cavalleria è pronta per venirle in soccorso: Lavastoviglie, Lavatrice e Asciugatrice mordono il freno e scalpitano. Pile di piatti sporchi e strati geologici di polvere non fanno paura, quando sai di non essere da sola; presto l’indomita Ilva, la fatina che lava i pavimenti una volta a settimana, verrà in tuo soccorso, ardita come un fante sardo della brigata Sassari. 
Da lontano, Solal, l’Eroe delle Retrovie, il Vate della Strategia del Rimando, ti incoraggia a non demordere. 
Credere, obbedire, combattere! risuona dai petti delle mille Ariane schierate in combattimento. 
Ma il soldato semplice Ariane non crede nella religione del Dovere Domestico; Ariane non obbedisce perché crede; Ariane ha idee diverse, ma le tiene per sé; Ariane combatte, perché sa che, se non fa il proprio dovere, presto scenderà una notte buia fatta di unghie lunghe e capelli ingrommati, di moccio al naso e piedi sporchi, di camicie da stirare e barattoli da sistemare simmetricamente; di pappine da preparare, spazzatura da lanciare nei cassonetti a mo’ di granate, giocattoli smembrati da raccogliere e sistemare nella cesta dei giochi, cerette casalinghe che lasciano scie di peli sul retro dei polpacci. 
Bisogna respingere il nemico. 
Una goccia di sudore scivola lenta sul volto di Ariane; arriva sul labbro, percorre il filo della lama stretta fra i denti. 
Il soldato semplice Ariane raccoglie le forze e aspetta il segnale convenuto. Le sorti della guerra dipendono da lei. 

mercoledì 4 settembre 2013

Festa mobile

Tu sei una madre perfetta. 
Tua figlia, tra qualche giorno, compirà gli anni. Ti sei già attivata per organizzare alla tua preziosa creatura gli adeguati festeggiamenti. A tale scopo, hai già provveduto a: 

- inviare gli inviti personalizzati ai suoi quaranta amichetti, quegli inviti che hai disegnato e colorato insieme alle tue bambine nei lunghi pomeriggi oziosi; 
- ingaggiare un animatore diplomato per intrattenere i giovani virgulti che altrimenti si annoiano e/o ti distruggono il focolare domestico; 
- realizzare i festoni colorati, rigorosamente home made per una festa di compleanno da Le mille e una notte
- pianificare il menu per grandi e piccini; i bambini devono mangiare sano, i grandi devono rimanere abbagliati dalla varietà e dalla squisitezza degli ammennicoli; 
- comprare i regali per la festeggianda, per non fare tutto all’ultimo minuto come quelle madri raffazzonate e approssimative a cui manca la giusta visione prospettica. 

Non ti resta che: 
- decorare la torta di pasta di zucchero a forma di sirena adagiata sugli scogli;
- gonfiare un centinaio di palloncini per vivacizzare l’ambiente;
- preparare in casa pizzette e panini e ciambelle bio, in modo che nessuno rimpianga patatine e popcorn;
- fare il giro dei supermercati di zona per procurarti gli ingredienti necessari e tutto l’occorrente per imbandire una tavola principesca;
- scegliere e realizzare gli oggetti-ricordo che offrirai agli amichetti per rendere indimenticabile l’evento.

Tu sei una mamma perfetta, e perfetta deve essere la festa di compleanno della tua bambina. 

TU sei una mamma perfetta. 
Ma io no. 

lunedì 2 settembre 2013

Per me si va ne la città dolente

- Ariane, ma deve essere così ogni anno? 
- Sob. 
- Le scene patetiche feriscono la mia indole sobria e asciutta di duro uomo del Nord. 
- Sob. 
- Io non capisco il motivo di tanta disperazione: è un mese e mezzo che te ne stai in spiaggia circondata da parenti di ogni grado e provenienza. 
- Sob.  
- Le mie figlie si nutrono di granita da quando avete messo piede qui. 
- Sob, la graniiiita! 
- Ariane, può bastare. Mi sembra che, al momento di ripartire, si possano una volta tanto evitare queste scene drammatiche da chanson de geste. Santo cielo, ti ho dovuta strappare a forza dalle braccia di tua madre! 
- Sob, la mia mammiiinaaa! 
- Tua nonna non mi voleva restituire la neonata. 
- Sob, la mia nonniiiinaaa!
- Tutti urlavano e piangevano e si strappavano i capelli mordendo fazzoletti intrisi di lacrime. 
- Sob. 
- Tranne tuo padre, che era imbarazzato quanto me. 
- Sob, il mio papiiiiino! 
- Mi turbate le bambine. Come glielo spiego che si tratta soltanto di saluti? Chissà quanto mi costeranno di psicologo, fra un paio d’anni, se continuate a inscenare il ratto delle sabine. La tua non è una famiglia: è il teatro dei pupi! 
- Sob. 
- ... 
- Sob. 
- Ariane, basta piangere adesso. Stai annegando la neonata. Vedrai che faremo un bellissimo viaggio di ritorno con il nostro furgone attrezzato per il campeggio
- Sob, il campeeeeggio no! 
- E va bene. Se la smetti di piangere e singhiozzare, ti prometto che non ci fermiamo a dormire nei campeggi. 
- Sniff sniff. Davvero? 
- Davvero. 
- Niente tende da montare? 
- Niente tende. 
- Niente materassi da gonfiare? 
- Niente materassi. 
- Niente bagni a due chilometri di distanza? 
- Niente. 
- Allora masseria con piscina? 
- Ma non va bene un Jolly Hotel? 
- Sob, il Joooolly Hoteeel! 
- Basta basta! Come vuoi, masseria con piscina. 
- ... 
- Adesso sei tranquilla? Niente più pianti? 
- Finché non mettiamo piede a F*****. 
- ... 
- Rifletti, Solal: a F***** pioverà. Io vengo da una terra che impone il dress code “costume bagnato” fino a settembre, non “giacchino di lana a luglio”. Questo estremismo climatico mi fa piangere. 
- Piangi quando parti e piangi quando arrivi. Che lagna.
- Piango perché il mio orizzonte non dovrebbe essere nascosto dalle montagne. 
- Certo, molto meglio un orizzonte nascosto dai tondini di ferro. 
- Questa è una guerra tra poveri, Solal. Peggio: è uno scontro di civiltà. 
- Quale civiltà? La civiltà del cassonetto percolante? 
- Sob, il cassoneeeetto! 
- Ho capito: io metto in moto, Ariane. Tenetevi forte, si parteeee!