mercoledì 21 ottobre 2015

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Se hai un papà alto e dalle spalle larghe, cresci sentendoti sempre al sicuro. La sua sagoma imponente ti fa ombra, si fa ombrello per le intemperie. Ti ripara anche quando non c’è, anche quando un ombrello da solo non basta. Non è la sua presenza fisica che fa la differenza: è quella sensazione di sicurezza, avvolgente e ferma, che hai respirato negli anni in cui lo hai avuto accanto mentre crescevi. Ormai fa parte di te.

Mio papà è alto, è forte, è buono. Le cose importanti le dice stando zitto: si fa capire con la postura. Quando aveva tre figlie adolescenti, ogni tanto giravano dei ragazzetti per casa. Lui non li degnava di uno sguardo; e loro, più venivano ignorati, più lo temevano e rispettavano. E poi aveva le mani grandi.

Non so che forma abbiano le lacrime di mio padre, perché non le ho mai viste e questo mi ha abituato a non fidarmi delle lacrime di un uomo. O a non considerarle normali. 
So invece quale aspetto assume la sua sofferenza, perché quella l’ho vista: è silenzio, spalle girate, sguardo lontano. 

Quando ero una ragazzina, l’ho osservato con occhi impietosi e ho deciso che andava ridisegnato tutto daccapo. Ci ho pure provato a spiegargli come avrebbe dovuto essere, ma non è servito a granché: è testardo e ha poca fantasia, ha preferito restare com’è: un po' John Wayne, un po' nonno di Heidi. Un duro dal cuore tenero. 

Lui è un uomo di poche parole e di poche idee, gusti semplici e modeste ambizioni: io, tutto il suo contrario. Capirsi non è mai stato facile. Io un vulcano attivo, lui spento. Spento, non estinto: quando lava e lapilli venivano fuori, era sempre una Pompei. Entrambi vulcani, ad ogni modo. 
Mi ha regalato il mio primo libro.

Ha una frase, sempre la stessa, che ripete in tutte le occasioni: “Sii sempre te stessa”. Il fidanzato mi lasciava per un’altra? “Sii sempre te stessa”; dovevo prendere una decisione epocale? “Sii sempre te stessa”. Papà, m'è crollato il mondo addosso: “Sii sempre te stessa”. 
Oggi ho finalmente capito perché non servono altre parole: mi è venuto in mente che, se proprio ci tiene tanto a che io sia sempre me stessa, forse è perché gli sono sempre piaciuta così. 

E ora trovatemi una definizione migliore dell’amore di un padre per sua figlia.

mercoledì 7 ottobre 2015

Untori

Ho tre figlie. Tutte e tre, nell’arco di dieci anni, sono state sottoposte a regolari cicli di vaccinazione: abbiamo fatto tutto, dalla meningite alla varicella, dai vaccini obbligatori (ancora nel 2006) fino a quelli solo consigliati. Su suggerimento di un pediatra coscienzioso e integralista, le ho vaccinate perfino per il Rota virus (cacarella). 
Per la prima figlia (2005), non mi è nemmeno venuto in mente di mettere in discussione l’opportunità del vaccino: mi sono presentata agli appuntamenti con lo stesso stato d’animo con cui la portavo ai bilanci di salute. A quel tempo, il vaccino era trendy.
Con la seconda (2009), l’approccio è stato altrettanto sereno, anche se il panorama di posizioni sulla questione stava cominciando a diventare variegato. 
C’era già una coppia, nel circuito delle cene tra amici del sabato sera, che aveva deciso di non vaccinare i propri figli. Ricordo che ho appreso questa notizia con la stessa blanda e astratta ammirazione con cui ascoltavo i loro racconti sulla scuola steineriana, sulla consacrazione ai gruppi di acquisto bio, sulla crociata contro la televisione (i nostri figli guardano solo DVD di cartoni animati equo-solidali!), sul parto in casa con assistenza dell’ostetrica sciamana, sui giocattoli-solo-di-legno e tutte quelle virtuose, coscienziose e soprattutto costose pratiche di vita che consentono una salutare simbiosi con la natura e il pieno di armonia cosmica, anche se vivi in centro e non hai il giardino. 
- Scherzi, i vaccini? E io dovrei fare iniettare un veleno nel corpo dei miei bambini, per fare gli interessi delle multinazionali e senza che vi sia alcuna necessità medica? Ma tu il morbillo non l’hai avuto da piccola? E la varicella? Ci siamo passati tutti, due settimane a letto e qualche crosta, non si muore certo per una malattia esantematica. Anzi, l’organismo si rafforza pure, i bambini crescono più resistenti ai virus. 

In effetti. 

Ma è solo con la mia terza figlia (2012), che le cose sono cambiate, così come il clima e le tendenze. 
Ed è arrivata la paura, la mia prima vera e più grande paura, più grande di quella per l’amniocentesi, più grande di quella per il parto di prova a tre anni dal primo cesareo. 
La vaccino sì o no, questa bambina? 

Il primo vaccino va fatto a pochissimi mesi. 
È notte, si è appena addormentata, ancora attaccata al seno; io navigo su internet col computer portatile sul cuscino (“è vicino alla sua testolina ancora molle, con quei neuroni disorientati, timidi, piccoli piccoli…non è che le onde elettroqualcosa del wifi le bloccano la crescita cerebrale?”). Salto da un link del terrore all’altro. I vaccini e l’autismo; un medico ha fatto delle ricerche, sembra che ci sia un nesso. Sì ma sono ricerche smentite dalla comunità scientifica. Sì ma vuoi mettere gli interessi delle multinazionali dei vaccini? Pensi che non cercheranno di insabbiare tutta la questione? Lo screditeranno, diranno che è un ciarlatano. E il mio pediatra? Perché continua a consigliarmi di vaccinare le mie figlie? È un ignorante scriteriato? Lo pagano le multinazionali? 
Vaccini e autismo; vaccini e ritardo mentale; vaccino e quantità di alluminio nei vettori. 
No, è troppo pericoloso. Non la vaccino la mia terza figlia. 
Però: perché lei no, e le altre due sì? 
E se tra due anni prende la meningite e muore? 
Se le viene una forma virulenta di morbillo e muore? 
Se le viene la rosolia mentre aspetta un bambino e muore? 
Ok. La vaccino, ma non subito. A un mese è ancora troppo piccola. 

Così, col cuore che ha tremato per giorni e giorni, ho deciso qual era il rischio che volevo correre per mia figlia: i vaccini sì, ma posticipati di qualche mese e non tutti in una volta, non tutti insieme. E solo se, alla data del vaccino, fosse stata in perfette condizioni fisiche. 
Ho tremato fino alla settimana scorsa, quando, finalmente, abbiamo fatto l’ultima punturina. 

Nel frattempo, sono aumentati in modo esponenziale gli amici che hanno deciso di non vaccinare i loro figli. Attualmente, sono la maggioranza dei miei conoscenti. 
All’inizio, pensavo che questa decisione implicasse solo la scelta – personale e quindi sacrosanta - di quale rischio correre: gli effetti collaterali del vaccino o l’esposizione alle malattie? Ognuno, in tal senso, ha diritto di prendere la decisione che ritiene più vantaggiosa o opportuna. 
Ma ora so che non è così. 
Se io decido di vaccinare mia figlia, mi assumo un rischio che è individuale (ci va di mezzo solo lei, se le cose vanno storte) e, nel contempo, contribuisco statisticamente a debellare la malattia in questione: all'assunzione individuale del rischio, corrisponde un aumento della sicurezza collettiva. 
Se non la vaccino, invece, scarico sulla comunità il costo di un pericolo (minuscolo ma reale) che ho deciso di non correre individualmente. E lo posso fare con ragionevole sicurezza, proprio perché la quasi totalità degli altri bambini è vaccinata. 
È un atto di protezione altamente egoistico: evito una fonte di rischio personale aumentando il rischio sociale, perché diminuisce la cosiddetta "immunità di gregge".
Pazienza, mi laverò la coscienza comprando solo la marca di caffé che non sfrutta il lavoro delle donne e dei bambini colombiani. Qui a casa mia, però, la solidarietà si ferma sulla porta della cameretta dei miei figli. 

Significa che i vostri figli non vaccinati, che sono ormai troppi, rischiano molto di più, adesso, di contrarre malattie che prima, grazie alla maggioranza vaccinata, avevano un'incidenza statistica infima. Rischiano di più i vostri figli e rischiano di più tutte quelle persone che non si sono potute vaccinare per motivi di salute (adulti e anziani). Perché la storia che non si muore di morbillo, diciamocelo, è una cazzata.

Non abbiamo conosciuto epidemie e tassi a due cifre di mortalità infantile per mezzo secolo, solo per un motivo: le campagne di vaccinazione di massa. 
Sarò una madre scriteriata, ma mi sembrano molto più utili e ragionevoli di una crociata contro l’olio di palma.