Attenzione: post ad alto tasso di
generalizzazione.
Ho fatto un unico fascio, è vero, ma
non di tutta l'erba.
Il motivo per cui mi piacciono i veneti
(di montagna) (del Feltrino) è lo stesso per cui, a volte, non li
capisco: la loro rigidità.
Ed è anche il motivo per cui mi sono cari e allo stesso tempo estranei, dopo dodici anni di convivenza.
Ed è anche il motivo per cui mi sono cari e allo stesso tempo estranei, dopo dodici anni di convivenza.
Semplificando, dunque, si può affermare che il feltrino tipico sia un po' rigido: non si piega e
non si spezza, è temprato, solido, tutto d'un pezzo.
Questo gli permette di
non deflettere di fronte al dovere e alla fatica. Stiamo parlando di un popolo di
lavoratori indefessi e di cittadini responsabili. Se una cosa può essere sistemata o migliorata, loro ci provano e, se non ci riescono, non se la prendono
col Fato.
Niente mollezze
bizantine, nessuna rassegnazione auto-assolutoria, nemmeno qualche
sacrosanta giustificazione climatica.
Se c'è da organizzare un
evento all'aperto e piove (ed è sicuro che piove) lo si fa e basta.
La rigida organizzazione permette di far funzionare le cose. Se non hai senso del dovere e non ti attieni alle regole, è subito caos e monnezza nelle strade.
E da queste parti è del tutto improbabile che succeda.
Ovviamente, resta poco
spazio per la capacità di improvvisazione, dote che la maggior parte dei feltrini non ha bisogno di possedere, se per improvvisazione si intende quell'arte
del risolvere i problemi inattesi, in modo estemporaneo, a volte geniale,
spesso paraculo, che invece contraddistingue noi del sud.
Se noi siamo individualisti, loro formano una squadra che corre come un sol uomo.
Noi abbiamo imparato a convivere con i problemi; loro si rimboccano le maniche e li risolvono.
Però succede come con i bambini che entrano in contatto solo con superfici igienizzate e pavimenti tirati a Lisoform: da grandi sviluppano pochi anticorpi e tante allergie.
Così è con questo popolo, la cui capacità di tollerare lo sporco e l'inatteso è stata narcotizzata da quei livelli medio-alti di Bello e Ordinato dentro cui sono placidamente immersi.
La rigidità, dunque, è una reazione, serve al benessere della comunità: ognuno fa il suo dovere e le sorprese dell'ultimo momento diminuiscono.
Il che significa che tutto scorre
liscio.
Il che significa anche: una noia tremenda.
Girare per le
strade di questa vallata è sempre piacevole, ma rischi
l'effetto-circuito: sai già cosa troverai dietro la curva, perché
tutto è sempre dove deve essere.
Rassicurante o angosciante, a
seconda di quello che vuoi dalla vita.
A me va bene a giorni alterni;
però, alla lunga, comincia a mancarmi il caos organizzato delle mie
latitudini, quello in cui tutti si muovono senza ragioni o scopi
apparenti, nulla è al suo posto, eppure alla fine trovi sempre
quello che cerchi e anche di più.
Stancante ma
divertente. O viceversa.
Qui, invece, trovi solo quello che è lecito
cercare secondo l'organizzazione inflessibile : vale a dire che
non trovi mai un panificio aperto, se lo cerchi di pomeriggio.
Questa è però gente su cui si può
fare affidamento. Ricordo quella volta che era inverno e nevicava e
sono rimasta a piedi con la macchina, in centro. L'avevo parcheggiata
in sosta vietata, sulla via principale, per fare un salto in farmacia: al
ritorno, la batteria era morta. Tre anziani signori, imponenti anche
se stagionati (i cosiddetti “feltroni”), chiamati dal farmacista,
me l'hanno fatta ripartire a spinta; poi, senza battere ciglio, sono
rientrati nel bar a bere le loro ombre.
Dalle mie parti, i vecchietti
di quell'età se ne sarebbero rimasti seduti a giocare a briscola.
Impressionata da tanta sobria potenza, mi sono convinta del fatto che un paio di solidi feltrini è la cosa migliore che tu ti
possa augurare di avere attorno, sia quando ti si ferma la macchina,
sia quando devi fare un trasloco. Li ho visti sollevare e trasportare lavatrici con la stessa naturalezza con cui noi mangiamo una granita
con la brioscia per colazione.
Rigidità significa anche che la gente
di qua funziona a compartimenti stagni, nel senso che tende a non mescolare cose e
persone: i momenti conviviali seguono una rigida prescrizione
secondo la quale gli amici d'infanzia non devono incrociarsi alla tua
tavola con gli amici della scuola dei figli o con gli amici
occasionali e di passaggio. Gli amici dell'aperitivo del venerdì
sera non si incontrano con gli amici del pranzo della domenica.
Mi
sono chiesta perché facciano così: è
un'abitudine trasversale a tutte le età e gli strati sociali della
vallata. Credo che sia una questione di carattere: non si mescolano, non c'è verso. Deve essere perché sono
un po' rigidi.
Rigidi eppure fragili: non riescono a
sostenere la tensione del rimescolamento, dell'imprevisto, del non
programmato.
Il fuori-circuito lo tollerano solo quando vanno
in vacanza, da quel che ho appurato.
Io li adoro quando la loro rigidità è
forza, è nerbo morale e civile; quando rigido significa solido e solidale.
Qui non ti lascerebbero morire per strada, tirando dritto; è il codice dei montanari e dei pescatori. In montagna e al mare, si aiuta chi è in difficoltà. E questo è un punto in comune, uno dei pochi, tra loro e la mia gente.
Queste persone hanno la schiena dritta come le penne
dei loro Alpini; sono il popolo che si è bagnato in gioventù nel fiume sacro alla Patria, e che è diventato ritto e granitico come le montagne che lo circondano e gli serrano l'orizzonte. E può essere maestoso e onesto come queste cime.
Somigliano al loro paesaggio, che non è molle e
delicato come la campagna toscana, ma non ha nemmeno quegli strazianti contrasti tra l'infinitamente
bello e l'irrimediabilmente brutto di certi panorami meridionali.
Quel
che è bello, qui, lo è senza drammi e misteri, senza tragedie o
catarsi.
È bello e basta.
Ho vissuto in mezzo a queste persone,
rimanendo foresta; eppure, mi hanno insegnato tanto, nel loro essere
così diversi dalla mia gente.
Probabilmente, se uno di qui cercasse di spiegare a me come sono fatti i siciliani, metterei su un bel sorriso di scherno levantino e lo ascolterei con condiscendenza irritata, perché, come tutti i popoli che soffrono di un complesso di superiorità, noi siciliani siamo suscettibili e insicuri.
I veneti, invece, lo sanno tutti, bevono come marinai e bestemmiano con grande determinazione.
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