mercoledì 8 marzo 2017

Avventura capitale

La caffetteria della Feltrinelli, a Largo Argentina, è un luogo accogliente, col suo brulicame silenzioso di lettori che siedono ai piccoli tavoli quadrati, i libri appena acquistati impilati accanto alla tazzina di caffè. 
Ogni tanto, il tavolo è occupato solo dai libri, che vengono usati come segnaposto da chi va in bagno od ordina l'insalata al bar. 
Sbircio i titoli e gioco a indovinare come sono fatte quelle persone dai libri che li aspettano. 
Accanto a me c'è una pila filosofica che culmina con un Platone. Immagino, senza tanto sforzo di fantasia, che chi ha acquistato quei testi sia un distinto professore dai capelli grigi e la giacca di fustagno spolverata di forfora; tra un po' verrà a sedersi, inforcherà gli occhiali e inizierà a sfogliarli con cipiglio consapevole. 
Invece, dopo qualche minuto, torna la proprietaria dei tomi: una signora dai lunghi capelli biondi come la mimosa appassita, con una camicia di seta troppo turchese, rossetto pastoso e la linea greve della matita nera che gira titubante attorno agli occhi grossi. Sembra il personaggio triste di un film di Fellini. Si siede accanto ai suoi libri e resta assorta, senza aprirli. 

Mi alzo per andare a prendere qualcosa da bere; lascio la mia borsa sulla sedia e, sul tavolo, una copia de La Pimpa e il cavallo bianco e una mappa di Roma centro. 
Al mio ritorno, trovo il tavolo occupato da un'anziana signora, immersa nella lettura del suo libro. Le chiedo se non la disturba condividere il tavolo con me e lei mi guarda confusa, e mi dice no no, nessun disturbo, e torna a leggere. 
Io mi siedo e fingo di sfogliare la Pimpa, mentre sbircio la mia compagna di tavolo. 
È linda. Mi vengono in mente alti finestroni esposti a sud e un pavimento chiaro di graniglia tirato a lucido, in una casa grande ma non vuota. Chissà se abita da queste parti. Ha il suo tailleurino nero con la camicia bianca e la catenina d'oro. I capelli biondo cenere sono fini e senza ricrescita, la pelle del viso bianca, morbida, tesa sugli zigomi. Una vecchia signora linda che passa la sua domenica pomeriggio da sola alla Feltrinelli. Legge Lezioni di comicità, di Matteo Andreone e questo mi spiazza, perché l'avrei detta più tipo da Murakami. E chissà chi è questo Andreone. 
Apro la cartina di Roma e studio le vie; poi cerco di ripiegare l'ampio foglio, ma è un'impresa titanica, perché le cartine sono  per natura entropiche: una volta aperte, vanno verso il caos e non si può più ristabilire lo stato di quiete iniziale. 
La signora alza lo sguardo dal suo libro e mi rivolge la parola con un sorriso divertito. 
- Cosa sta cercando? 
- Casa – le rispondo. 
- Dove esattamente? 
- In questo quartiere qui – e le indico un punto sulla mappa. 
- Questo quartiere è caro – mi dice lei. 
- Lo so. Infatti non la troverò. Cercherò da un'altra parte. 
- Viene ad abitare a Roma? 
- Sì, con le mie tre bambine. 
Fa uno sguardo stupito ed esclama “Tre figlie, così giovane!” 
Io rido grata e le rivelo la mia età. 
Lei vive da sola; ha un figlio grande che è andato a vivere lontano. Lontano, da come lo dice, potrebbe significare il resto del mondo. È vedova da tre anni, aggiunge con pudore. E soffre ancora. 
Ci guardiamo per un secondo, sorridenti. Siamo due donne di età diverse, sole di domenica pomeriggio, alla caffetteria della Feltrinelli
Lei è stata come me, un tempo. Con un figlio piccolo e tanta fatica davanti. E questo la fa sorridere. 
Si alza e mi dice: “In bocca al lupo”: e credo che si riferisca ai miei tentativi di ripiegare la mappa. Io, a mia volta, le auguro ogni bene. 

Mentre mi avvio verso l'uscita, penso che un sorriso e una breve conversazione cortese con un'estranea non ti risolvono certo i problemi. Ma non si va a vivere nelle grandi città per avere una vita più semplice. E nemmeno per vincere la solitudine: al contrario, più gente estranea hai attorno, più la solitudine trionfa. No. Le metropoli ti offrono solo la sorpresa degli incontri fuori circuito e questo, la domenica pomeriggio, può aiutare. 
Là fuori, se le cronache non esagerano, mi aspettano strade sporche, autobus in ritardo e tassisti molto cattivi. Oltre a un esercito di agenti immobiliari che hanno dimenticato di essere stati, un tempo, bambini. 
Ma che importa. 
La grande scommessa è preferire innumerevoli guai capitali alla minuscola giostrina di provincia, liscia e levigata come una bella lapide di marmo. 
Avrò tempo di ricredermi quando le mie figlie abiteranno il resto del mondo e io mi sarò stancata di aspettare l'autobus che non passa. Adesso, però, è arrivato il momento di scendere dalla giostra e attaccarsi al tram. 




2 commenti:

  1. Ho sorriso sull'entropia delle cartine (ne esistono ancora, ma in epoca di smartphone la pensione dovrebbe essere prossima).
    Mi sono emozionato nella descrizione della solitudine attuale dell'anziana signora e in quella futura (ma non è detto ;-)) dell'autrice del delicato post.

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    1. Caro PNV, credo che mi sia scappata la mano e sia venuta fuori più mestizia che voglia di avventura: mi sa che non controllo il mezzo! Per quel che riguarda le cartine: intanto, se fossi stata col naso dentro google maps, la gentile signora non mi avrebbe rivolto la parola, perché gli smartphone non favoriscono la comunicazione etc etc. E poi con le mappe sul telefonino io mi perdo regolarmente e giuro che non è un vezzo: è che sono analogica, non digitale.

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