venerdì 23 settembre 2016

And the shame was on the other side

Confesso di essermi commossa leggendo la lettera della mamma coi sensi di colpa
Mi sono immedesimata in tutti i suoi moti di inadeguatezza, in ogni singolo sussulto per la propria involontaria incompletezza. Come ti capisco, sorella: fai una fatica bestia, ma non è mai abbastanza. La sera arriva prima ancora che tu abbia spento la sveglia del mattino, e non importa quanto tu sia stata gazzella: i predatori ti hanno già divorato i quarti posteriori fin dai blocchi di partenza. 
Resta sempre una ciocca di capelli ingrommati da districare (“Domani mattina, è la prima cosa che facciamo!”), un libro nuovo senza copertina di plastica (“Mamma, ne manca una!”), una bambina che non tocca cibo benché tu abbia cucinato tre pietanze diverse per accontentarle tutte. Resta almeno un broncio (“Mamma, raccontami la storia della buona notte! Mamma? Sei sveglia?”), i compiti che dovevamo fare insieme ("Ma intanto tu comincia, bambina, che io finisco di lavare i piatti"), l’ora al parchetto che ti avevo promesso e che continuo a rimandare perché il parchetto mi deprime e io non posso stare ferma, devo correre, non le vedi le fauci spalancate dietro di me? 
E ogni giorno si ricomincia: non da zero, ma col carico preventivo di quello che hai lasciato indietro ieri.

Poi, però, dopo essermi immedesimata, ci ho pensato e mi sono detta: senso di colpa un cavolo! (“Mamma, non si dice cavolo…”).
Io non ho colpe. Io sono un’eroina pura e indomita e merito medaglie al valore, bonus a tre zeri, ringraziamenti collettivi da parte di tutta la comunità, riconoscimenti pubblici e il cavalierato della Repubblica. Io, proprio io, madre di tre figlie, concepite e messe al mondo senza calcoli e programmi. Senza aiuti di Stato, senza buoni per asili nido o babysitter, senza tate tuttofare. Sono dipendente statale e quindi più tutelata di altre, ma non voglio certo dovermi sentire grata per un diritto. Ho ricevuto assistenza dai parenti e dagli amici: ed essere assistita non ti pone mai in una condizione di forza o indipendenza. Ho dovuto contrarre debiti di riconoscenza inestinguibili e confrontarmi con l’amara consapevolezza che, da sola, non ce l’avrei mai potuta fare. Tutto ciò ha un peso e un costo e io ho sostenuto il primo e pagato fino in fondo il secondo.
Al diavolo gli stili di vita sani o le cattive compagnie: io vedo solo il valore, l’abnegazione, l’eroismo delle madri. E questo fin dalla notte dei tempi, fin da quando ci accucciavamo in una caverna per sgravare al buio.
Mi rifiuto di sentirmi in colpa se non riesco a far tutto; mi rifiuto di autoaccusarmi di inadeguatezza, di piagnucolare perché io vorrei tanto essere una mamma perfetta, ma come si fa se nessuno mi aiuta, perché io la teoria la so ma la pratica è troppo al di sopra delle mie possibilità.
No cari miei. Non sono io a dovermi sentire in colpa se alla fine della giornata il saldo della perfezione materna non è mai positivo. Non mi sento in colpa se, ogni giorno, sono costretta a riconoscere che avrei dovuto fare di più: perché quello che ho fatto è un miracolo che si compie quotidianamente e non sono nemmeno Dio.
Io il contributo alla Patria e al saldo demografico naturale l’ho dato tre volte e continuo a fare la mia parte ogni giorno.
Se non volete premiarmi, o almeno aiutarmi, allora non aspettatevi da me anche il senso di colpa.
Un “grazie” ci potrebbe stare.
Il Fertility Day infilatevelo su per il Ministero, invece.

2 commenti:

  1. Sottoscrivo ogni tua parola. Hai espresso meravigliosamente quello che avrei voluto dire anch'io. È da tantissimo che seguo il tuo blog e non ho mai commentato, ma questa volta ci tengo proprio a dirtelo:sei fantastica

    RispondiElimina

Ogni volta che qualcuno visita questo blog senza lasciare un commento, da qualche parte, sulla Terra, un calzino resta spaiato. Aiutami ad evitare questo scempio.