giovedì 24 novembre 2016

Il quinto stato

“Gli uomini sono degli ebeti, si sa. Ma i veri danni, ricordatelo, li facciamo noi; perché noi donne siamo stronze”. 
Così mi ha detto un’amica che ho incontrato stamani al supermercato; non la incrociavo da un paio d’anni e in un quarto d’ora, davanti al bancone dei salumi, ci siamo scambiate il resoconto sintetico delle nostre rispettive rivoluzioni esistenziali.
La vita ferve, in provincia. 

Noi donne siamo stronze, sì. Lo siamo coi maschi, che portiamo a spasso menandoli per il guinzaglio inguinale. Lo siamo con le altre donne, ancora di più, perché questa è una giungla e sopravvive solo quella che non è disposta a soccombere. Quella che il guinzaglio non è disposta a cederlo troppo facilmente; quella che con più protervia riesce a strapparlo dalle mani della rivale, forte del diritto dell’amore, della giovinezza, della libertà, della bellezza. 
La solidarietà femminile è il principio più disatteso in natura, e non c’è niente da fare.
Essere un corpo sodale e compatto era forse possibile ai tempi del matriarcato, ma sono millenni ormai che le amazzoni non si schierano in battaglia. A quel tempo eravamo sorelle, ma l’avvento del patriarcato ci ha rese mogli. Credo. 

Gli uomini fanno massa compatta nella ripetitività dei loro schemi comportamentali; le donne, invece, sono un fronte sminuzzato e diviso; peggio: le donne sono una somma di potentissimi frantumi e ognuna di esse resta sola di fronte alle responsabilità e ai colpi del destino, a una vita coi figli e a una vita senza figli. 
Siamo frammenti, non squadra. Abituate a essere parcellizzate dall’occhio dell’altro, percepite per sineddoche, una parte per il tutto e il tutto intero impossibile da far accettare. Un paio di tette, un bel culo, un bel visino. Una mano santa per rimestare il ragù. Un utero. 
Per questo, io credo, abbiamo sviluppato nei secoli una maggiore disposizione alla famosa resilienza. Che sia un cesto di panni sporchi o una macchia di rossetto sulla sua camicia, noi affrontiamo tutto da sole e da sole soccombiamo o trionfiamo. Con il sostegno delle nostre amiche più strette, è vero. Ma sole anch'esse.  
C’è una mesta bellezza in questa forza solitaria. Mesta perché le storie di noi donne, quelle che ci raccontiamo al telefono o al supermercato o davanti a un aperitivo, sono spesso storie lancinanti e dagli esiti infelici.
Siamo in balia di questi maschi che è così facile dirigere a colpi di feromoni, e così impossibile contenere quando decidono di farci del male. 
Siamo in balia della nostra forza, atavica o individuale; in balia della nostra mancanza di consapevolezza, della nostra mancanza di solidarietà di genere. 
Scopriamo nostro malgrado, nei momenti di difficoltà, di potercela sempre fare. Che il nostro collo sottile non è fatto per spezzarsi da solo. Scopriamo che, nonostante tutto, noi restiamo in piedi. Possono menomarci, sfregiarci, possono toglierci la pelle di dosso ma non ci atterrano, non ci sconfiggono. Possono toglierci la vita e basta. 
Se, invece, ci lasciano semimorte e ammaccate, noi, ogni volta, ci rialziamo e andiamo avanti, tra le quattro mura di casa, in tribunale o in televisione. 
Quelle che soccombono sono state travolte da una violenza naturalmente sovrastante, quindi vigliacca. 
Ad armi pari, noi vinciamo. 
Perché le vere stronze non mollano.
E perché, dopotutto, non tutti gli uomini sono ebeti. 

2 commenti:

  1. Non ti preoccupare che tra un po' ritocca a voi!

    Luigi

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  2. Siamo rocce,infatti,e come tali resistiamo,sempre e comunque.
    In bocca al lupo a noi.

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