lunedì 7 novembre 2016

Varvara Nikanorovna

PRIMA AVVERTENZA: questo post contiene spoiler definitivi su tre grandi classici della letteratura mondiale (quelli che si sa come vanno a finire anche se non li hai mai letti): Madame Bovary, Anna Karenina e l’Eneide. Io vi dovevo avvisare che c’è lo spoiler. Fate voi. 
SECONDA AVVERTENZA: questo post non è un pezzo di critica letteraria, benché parli di letteratura. La letteratura è solo un pretesto per considerazioni di carattere più ampio e generico: un modo come un altro per dire stupidaggini dandosi un tono, insomma. Soprattutto non contiene giudizi di valore sulla qualità letteraria dei suddetti capolavori. Ci mancherebbe.

Ho sempre tifato per Anna Karenina; una donna sposata con l’emblema del grigiore e della mediocrità; indomita, quindi adultera. Solo un autore maschio, moralista, bacchettone e sadico poteva farla finire suicida, con le tenere carni bianche - che tanto avevano goduto tra le braccia del conte Vronskj – ridotte a brandelli da un treno in corsa e sparse tra le rotaie. 

D’altra parte, a Emma Bovary non è andata meglio: muore fra atroci tormenti dopo aver ingerito un veleno letale ma non istantaneo (rileggersi la lunga, interminabile scena della sua agonia. Dura parecchie ore e parecchie pagine). Figurarsi se il caro Gustave non gliela faceva pagare, a questa donnetta credulona e un po’ vanesia, per aver inseguito la felicità sbagliando strada. 
In questi romanzi, nemmeno i personaggi maschili fanno una gran bella figura ma, almeno, portano a casa la pelle. 

E vogliamo parlare della povera Didone, che si trafigge con la spada regalatale dal troiano fatale, mentre lui salpa verso il Destino? 

Mi chiedo se esiste un romanzo, scritto da un uomo, in cui il marito fedifrago venga punito con altrettanto accanimento narrativo. Mi pare di no. Forse bisogna essere dei sadici moralisti misogini per scrivere capolavori immortali con grandi figure femminili, rigorosamente moriture e sfigate. 

Oppure si può essere Jane Austen. 
Ecco, Jane Austen, le cui eroine non erano per niente sfortunate in amore e alle quali, alla fine, le cose girano pure benino (Darcy. Oh, Darcy). 

Solo che gli uomini, a differenza delle donne, non leggono Jane Austen. 
Le protagoniste dei classici più letti dagli uomini in genere ci lasciano le penne, dopo aver soddisfatto il regale augello del protagonista maschile di turno. 

Queste trame letterarie sembrano voler mandare un messaggio, a noi uomini e donne che leggiamo i classici. Ma quale? E questo messaggio classico ha qualcosa a che fare con i rapporti tra uomo e donna nell’età contemporanea? 
Mi interrogo. Un po’ mi incavolo, perché secondo me tutto ha a che fare con i rapporti tra uomo e donna etc etc. 

Quanti di voi conoscono un romanzo russo scritto da un uomo che si chiamava Nikolaj Leskov? 
Oh prode, acuto, profondissimo Leskov, che hai raccontato con lieve potenza la storia della indimenticabile principessa Varvara Nikanorovna! Caro Leskov, scoperta tardiva, non smetterò mai di ringraziarti per aver creato una figura femminile sublime, forte, che non si piega, anche se deve accettare di veder sparire un mondo, il suo, nel quale si incarna la vera anima russa, lo spirito della tradizione e della rettitudine.
Pensate un po’: una donna che rimane vedova di un marito amato, che rifiuta di risposarsi, che governa e amministra meglio di un uomo i beni della grande famiglia dei Protozanov, che non cede alle lusinghe di un furbo pretendente, che cresce da sola tre figli e si circonda di figure improbabili come il meraviglioso Don Chisciotte Rogožin, impresentabile ma “con un cuore e una coscienza” e di fedeli servitori, devoti e leali. 

Fa bene, ogni tanto, leggere la storia di una donna che non perisce dopo aver compiuto scelte sbagliate in amore; che non paga con la propria vita la colpa di aver avuto a che fare con un mentecatto. 
Una donna in grado di discernere e di giudicare l’indole di chi ha di fronte e comportarsi di conseguenza; dotata di un alto senso della giustizia che le fa prendere sempre la decisione più equa, quasi mai la più facile. 
Dà speranza. 

Riporto qui un passo paradigmatico: in senso stretto, perché illustra a dovere la tempra della protagonista e in senso lato perché, a voler prendere ad esempio il suo modo di esercitare la difficile arte del regolarsi tra dare e avere, si potrebbero evitare un sacco di errori. 

 “Non aveva debiti con nessuno, e ben pochi potevano dire di non averne con lei. […] Chiunque, nobile o mercante, in caso di necessità poteva rivolgersi a lei e chiederle dei prestiti. Il grado di solvibilità del debitore lo stabiliva lei stessa, a seconda dell’opinione che si faceva di lui […]. I rifiuti erano rari; ma a colui che, avendo ottenuto dei soldi, non li restituiva a tempo debito (né veniva a chiedere una dilazione), la principessa mandava a dire: «Che non si preoccupi; su di lui ho messo una croce»”. 

E non gli concedeva mai una seconda possibilità, perché, semplicemente, non se la meritava.

Ragazze, impariamo da Varvara Nikaronovna a mettere una croce sopra qualcuno, quando quel qualcuno si dimostra inaffidabile.
È l'unica cosa sensata da fare.  

(Nikolaj Leskov, Una famiglia decaduta, Fazi Editore.)

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