Mi è capitato di avere pensieri razzisti, in questi ultimi tempi.
Accanto all'ingresso del mio palazzo, c'è un portico che viene abitualmente usato dai senzatetto come luogo di riparo per la notte, in tutte le stagioni. Fra questi senzatetto, ce n'è uno fisso. Si chiama Rhal, è un giovane bengalese coi capelli lunghi. Quando torniamo da scuola, io e le mie figlie lo troviamo sotto casa; ci saluta sempre e ogni tanto mi chiede una sigaretta. A volte gliela offro direttamente io ma non è detto che lui l'accetti; se ne ha già di sue, mi dice “no, grazie”: non fa scorta a mie spese.
Non gli ho mai dato soldi, né lui ne ha mai chiesti. A Natale volevo regalargli dei maglioni ancora nuovi, con lo scontrino attaccato. Non li ha voluti, mi ha detto di darli ad un altro senzatetto che dormiva di fianco. Prende solo quello che serve, Rhal, e ogni tanto è lui a offrire qualcosa; si sporge dalla ringhiera con un sacchetto in mano e chiede a mia figlia “Piccolina, ne vuoi un po'”? E sono noccioline o salatini, di cui sembra essere ghiotto. A lei non piacciono le noccioline ma io gliele faccio prendere, anche se poi non le mangia, per fare contento Rhal.
Certo, a una radical chic buonista come me fa comodo avere un Rhal sotto casa, così posso sentirmi tollerante, al costo di qualche sigaretta.
Quando entro nel cortile del mio palazzo, invece, mi capita di incrociare anziani condomini romani che, in questi due anni, non hanno mai risposto al mio saluto e a quello delle mie bambine. Uno di questi vecchietti, che probabilmente ha vissuto male e troppo a lungo, un pomeriggio, da dietro una finestra socchiusa, ha lanciato un uovo addosso ai bambini che giocavano in cortile. Che le loro madri se li portino al parco, ha detto al portiere.
Confesso che, in certi momenti, ho sognato che questi malefici vecchietti senza più permesso di soggiorno tra gli esseri umani venissero tutti rinchiusi in centri di prima accoglienza. Solo i vecchi romani, però; perché in dodici anni di vita in Veneto, io di gente così non ne ho mai incontrata: lì gli anziani sorridono alle mamme coi bambini.
Quest'inverno, sempre a Roma, mentre tornavo a casa in bici dopo un consiglio di classe, all'altezza di Porta Maggiore la sciarpa mi si è impigliata nella catena e la bici si è bloccata. Ero accanto ad una fermata del tram e subito mi si è avvicinato un signore, un vecchio straniero, curdo forse, che aspettava il 14. Ha capovolto la bici e, con grande pazienza, ha liberato la catena, sporcandosi le mani di grasso. Nel frattempo il suo tram è passato e lui lo ha perso. L'ho ringraziato e sono corsa via e, mentre mi affrettavo verso casa, ho pensato con rammarico che non gli avevo nemmeno chiesto come si chiamava, che non mi ero presentata: la gentilezza deve avere un nome, la gratitudine pure.
E mi sono ricordata di una cosa che mi era successa l'anno prima, appena arrivata in questa città così grande e cinica; ero andata dal ferramenta per comprare degli attrezzi che mi servivano ad aggiustare la bici. Fuori dal negozio, dopo aver armeggiato inutilmente nel tentativo disperato di montare il seggiolino, vengo soccorsa da un pensionato romano, che se ne stava lì a osservare la scena. Il vecchiarello riesce con non poca fatica a montare il seggiolino e io resto incantata da tanta disinteressata cortesia. “Grazie! È stato così gentile da parte sua!” gli dico, grata, “Non so proprio come sdebitarmi!”.
“Con cinque euro”, mi fa lui.
Accanto all'ingresso del mio palazzo, c'è un portico che viene abitualmente usato dai senzatetto come luogo di riparo per la notte, in tutte le stagioni. Fra questi senzatetto, ce n'è uno fisso. Si chiama Rhal, è un giovane bengalese coi capelli lunghi. Quando torniamo da scuola, io e le mie figlie lo troviamo sotto casa; ci saluta sempre e ogni tanto mi chiede una sigaretta. A volte gliela offro direttamente io ma non è detto che lui l'accetti; se ne ha già di sue, mi dice “no, grazie”: non fa scorta a mie spese.
Non gli ho mai dato soldi, né lui ne ha mai chiesti. A Natale volevo regalargli dei maglioni ancora nuovi, con lo scontrino attaccato. Non li ha voluti, mi ha detto di darli ad un altro senzatetto che dormiva di fianco. Prende solo quello che serve, Rhal, e ogni tanto è lui a offrire qualcosa; si sporge dalla ringhiera con un sacchetto in mano e chiede a mia figlia “Piccolina, ne vuoi un po'”? E sono noccioline o salatini, di cui sembra essere ghiotto. A lei non piacciono le noccioline ma io gliele faccio prendere, anche se poi non le mangia, per fare contento Rhal.
Certo, a una radical chic buonista come me fa comodo avere un Rhal sotto casa, così posso sentirmi tollerante, al costo di qualche sigaretta.
Quando entro nel cortile del mio palazzo, invece, mi capita di incrociare anziani condomini romani che, in questi due anni, non hanno mai risposto al mio saluto e a quello delle mie bambine. Uno di questi vecchietti, che probabilmente ha vissuto male e troppo a lungo, un pomeriggio, da dietro una finestra socchiusa, ha lanciato un uovo addosso ai bambini che giocavano in cortile. Che le loro madri se li portino al parco, ha detto al portiere.
Confesso che, in certi momenti, ho sognato che questi malefici vecchietti senza più permesso di soggiorno tra gli esseri umani venissero tutti rinchiusi in centri di prima accoglienza. Solo i vecchi romani, però; perché in dodici anni di vita in Veneto, io di gente così non ne ho mai incontrata: lì gli anziani sorridono alle mamme coi bambini.
Quest'inverno, sempre a Roma, mentre tornavo a casa in bici dopo un consiglio di classe, all'altezza di Porta Maggiore la sciarpa mi si è impigliata nella catena e la bici si è bloccata. Ero accanto ad una fermata del tram e subito mi si è avvicinato un signore, un vecchio straniero, curdo forse, che aspettava il 14. Ha capovolto la bici e, con grande pazienza, ha liberato la catena, sporcandosi le mani di grasso. Nel frattempo il suo tram è passato e lui lo ha perso. L'ho ringraziato e sono corsa via e, mentre mi affrettavo verso casa, ho pensato con rammarico che non gli avevo nemmeno chiesto come si chiamava, che non mi ero presentata: la gentilezza deve avere un nome, la gratitudine pure.
E mi sono ricordata di una cosa che mi era successa l'anno prima, appena arrivata in questa città così grande e cinica; ero andata dal ferramenta per comprare degli attrezzi che mi servivano ad aggiustare la bici. Fuori dal negozio, dopo aver armeggiato inutilmente nel tentativo disperato di montare il seggiolino, vengo soccorsa da un pensionato romano, che se ne stava lì a osservare la scena. Il vecchiarello riesce con non poca fatica a montare il seggiolino e io resto incantata da tanta disinteressata cortesia. “Grazie! È stato così gentile da parte sua!” gli dico, grata, “Non so proprio come sdebitarmi!”.
“Con cinque euro”, mi fa lui.
Ora, sarebbe facile giungere a conclusioni errate. Fortunatamente, però, noi buonisti della prima ora sappiamo evitare le generalizzazioni razziste.
In questo mi aiutano i vecchietti che giocano a carte da Necci, il bar dove vado a fare colazione la mattina, prima di andare a scuola, e a preparare le lezioni quando non ho le prime ore. Loro fanno le partite a briscola al tavolo vicino, io leggo e prendo appunti. All'inizio salutavano e basta. Adesso si avvicinano e mi porgono il giornale, dopo averlo letto. “Che lezione prepariamo oggi, professoressa?”, si informano ogni volta, con cavalleresco interesse.
Questi vecchietti sono miei amici, sono romani, sono gentili.
Come Rhal e il vecchio curdo che mi ha aggiustato la bici, perdendo il suo tram.
Menomale che il mio sogno sui centri di accoglienza non si è avverato.
In questo mi aiutano i vecchietti che giocano a carte da Necci, il bar dove vado a fare colazione la mattina, prima di andare a scuola, e a preparare le lezioni quando non ho le prime ore. Loro fanno le partite a briscola al tavolo vicino, io leggo e prendo appunti. All'inizio salutavano e basta. Adesso si avvicinano e mi porgono il giornale, dopo averlo letto. “Che lezione prepariamo oggi, professoressa?”, si informano ogni volta, con cavalleresco interesse.
Questi vecchietti sono miei amici, sono romani, sono gentili.
Come Rhal e il vecchio curdo che mi ha aggiustato la bici, perdendo il suo tram.
Menomale che il mio sogno sui centri di accoglienza non si è avverato.