mercoledì 28 agosto 2019

Mensa scolastica

Quando, qualche giorno fa, ho presentato ai miei alunni di quinta liceo una lista di romanzi della letteratura russa, inglese e francese dell'Ottocento, da leggere entro Natale, c'è stato un inaspettato ammutinamento. 
"Sono troppi, prof"!"Vi chiedo di sceglierne uno, non dovete leggerli tutti"."Ma un romanzo intero, prof, è troppo. Noi dobbiamo anche vivere!", mi ha detto un'alunna, risentita. Vorrei poterla convincere che la lettura non esclude la vita. Ma non so trovare le parole, perché io non la capisco. Vorrei dirle: ma io leggo come respiro. Come si fa a vivere senza respirare? Tu come puoi vivere senza leggere?E lei, a quel punto, non capirebbe me. Vorrei avere la credibilità per dirle: vivi, adesso, vivi senza leggere ma, fra un po' di tempo, la sola vita non ti basterà ad affrontare gli anni, i problemi, il dolore, l'abbandono, e nemmeno il passaggio della felicità che, com'è sua costituzione, non dura. Vorrei dirle che la vita non basta ad affrontare la vita. I libri non garantiscono il successo e non aggiogano la felicità, è vero. Eppure, senza di essi, l'infelicità è più densa. Lo vedo succedere attorno a me, in continuazione. Vedo che l'amore non basta, la famiglia non colma, il lavoro non può possederci completamente, la fede non è di tutti. Gli amici aiutano. Come i libri. Non dico di sostituire le persone con la letteratura. Dico che la ricchezza è scudo contro i colpi del destino; la ricchezza intesa come umanità, come intelligenza del cuore. E leggere rende l'uomo più uomo; non scava solo dentro, come le esperienze, ma aggiunge, riempie, offre lo scudo per difendersi, le armi per attaccare il pregiudizio e la disumanità. Le persone più infelici che ho conosciuto non leggono. Le più vuote, le più disarmate. Le più disperate. Per questo, quando gli alunni dicono che non possono leggere perché devono vivere, più che farmi arrabbiare, mi preoccupano. Temo per loro: li vedo follemente determinati ad arrampicarsi a mani nude lungo una parete liscia, senza una corda, senza scarponi chiodati, senza puntelli a cui aggrapparsi nella salita. Li vedo che guardano in alto, sprezzanti di me e del pericolo, sicuri che la forza che hanno basterà a raggiungere la cima o che la roccia offrirà sempre un appiglio insperato. Ma so che, prima o poi, guarderanno giù. E quello che vedranno sotto di sé, irrecuperabile, precipitato, li spaventerà a morte, come ha spaventato e continua a spaventare ognuno di noi. A mani nude dovranno continuare a salire o fermarsi ed aspettare. Ed è una follia non essersi muniti prima di qualcosa che aiuti a dare un senso all'abisso. È spaventoso che nessuno degli adulti dica loro che quel percorso a senso unico fa tremare soprattutto chi è solo, chi è senza parole perché non ha conosciuto altre vite all'infuori della propria o di pochi altri prossimi.La lettura, la musica, il cinema, il teatro, l'arte, la danza, la matematica, le scienze non fanno altro che raccontare storie. Altre storie: le storie degli altri. Gli altri e le loro storie sono ciò di cui abbiamo bisogno per affrontare quella salita, che altrimenti dovremmo portare a termine da soli. E visto che si è soli quando si entra in questa vita e quando se ne esce - e quando si compiono delle scelte - perché condannarsi alla solitudine anche durante quel tragitto così impervio? La lettura ci rende umani, dicevo. Conoscere la storia degli altri ci aiuta a non abbandonarli, a non respingerli: a com-prenderli. Più leggo, più comprendo, più accolgo, più contengo. Mi fa paura chi non legge, così come mi fa paura chi non comprende altro che la propria storia. Mi fa paura chi dice: prima la mia storia. Prima devo vivere. Se non hai il tempo di far entrare nemmeno un libro, nella tua vita, per chi o cosa ci sarà spazio, che non sia tu o un'emanazione di te? Per questo sono grata a chi legge. Per questo leggo. La parola “alunno” viene dal verbo latino “alo”, che significa “nutro”. Gli “alumni” erano i bambini nutriti e allevati da qualcuno che non fosse il padre o la madre. Bambini di altri, allevati da altri. Come facciamo noi insegnanti con i nostri “alumni”: a disposizione abbiamo non il “pan de li angeli”, ma il pane degli uomini, le storie di tutti noi e del nostro mondo. Nessuno deve essere escluso da quella mensa.

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