mercoledì 15 maggio 2013

Generazioni a confronto

- Pronto, Ariane? 
- Ciao mamma. 
- Ariane, non mi chiami mai. 
- Mamma, ci sentiamo ogni giorno. 
- Perché ti chiamo io! 
- Appunto. Se smetti di chiamarmi ogni giorno, ti prometto che prima o poi ti telefono. 
- ... 
- ... 
- E come vanno le cose, figlia mia? 
- Che dire. Le bambine sono tante e mio marito è poco. Poco presente, poco amorevole, poco servizievole. 
- Non sei felice con lui? 
- Si, ma vorrei un altro marito. Anzi, no, vorrei lo stesso marito, ma diverso. È un desiderio irrealizzabile? 
- Direi di sì. Io è da quarant’anni che cerco di cambiare tuo padre, ma senza risultato. 
- Come hai fatto a resistere per tutto questo tempo? 
- Avevo un metodo: quando proprio non ce la facevo più, mi sfogavo scrivendogli lunghe lettere piene di insulti. Gli scrivevo zoticone barbone disgraziato e gliele lasciavo sul comodino durante la notte. 
- E lui?
- La mattina le leggeva. 
- E ti rispondeva? 
- No. 
- Non ti scriveva anche lui delle lettere? 
- No, mai. 
- Insomma, scrivevi lettere a cui lui non rispondeva. Mi sembra un po’ frustrante, come valvola di sfogo. 
- Sì, forse, ma non c’era nient’altro da fare. 
- Avresti potuto lasciarlo. 
- Ariane, io e te apparteniamo a due epoche diverse. Nella mia, ci hanno insegnato che, se una cosa si rompe, non la butti via: l’aggiusti. 
- Mamma, a quel tempo le cose non erano fatte di plastica made in China.

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